sabato , 12 Ottobre 2024
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180. Recensione a: Alexander Schnell, Le clignotement de l’être, Hermann, Paris 2021, pp. 319. (Tommaso Bigatti)

Con questo ambizioso volume, Alexander Schnell, figura di spicco della fenomenologia contemporanea a cavallo fra la tradizione tedesca e quella francese, si propone di sistematizzare in maniera organica un percorso – cominciato con La déhiscence du sens (Hermann, Paris 2015) e proseguito con Qu’est-ce que la phénoménologie transcendantale? Fondements d’un idéalisme spéculatif phénoménologique (Millon, Grenoble 2015) – di “rifondazione della fenomenologia trascendentale che mira a chiarire la possibilità della schiusura del senso” (pp. 23-24), ovvero, le condizioni trascendentali della sua manifestatività.
Il testo si presenta come “un trattato di metafisica fenomenologica” il cui scopo ultimo sarà, da un lato, quello di “porre nuovamente la questione del senso dell’essere” (p. 15) e, dall’altro, di rinvenire i fondamenti metafisici della correlazione fra l’apparire e ciò che appare, alla ricerca di un fondamento ultimo del sapere fenomenologico. Se, infatti, in fenomenologia l’apparire è sempre l’apparire entro un senso, Schnell si propone di andare oltre, indagando la “costituzione originaria di questo senso [la quale] presuppone una genetizzazione [génétisation] trascendentale” (p. 127), ossia la genesi delle stesse operazioni costitutive. Questo gesto auto-riflessivo sarebbe il proprio d’un sapere in grado di render conto di sé, del suo farsi e delle sue operazioni, nel tentativo di “esibire in una ‘esperienza trascendentale’ (o una ‘riflessione trascendentale’) l’operatività del campo trascendentale al di qua di ciò che è descrivibile e dato all’intuizione” (p. 87).
Il volume è articolato in tre parti strettamente intrecciate tra loro che vanno a delineare una panoramica introduttiva ai principali nuclei concettuali della fenomenologia generativa proposta da Schnell, la quale però, come viene subito puntualizzato, nulla ha a che vedere con l’omonima impresa teoretica portata avanti da A. Steinbock (p. 23). La prima delle tre sezioni, intitolata Posizioni, delinea il quadro teorico da cui il volume prende le mosse, ovvero quello del confronto col nuovo realismo rispetto al problema dell’essere irrelato (l’assoluto) e del condizionamento che esso intrattiene con la coscienza. Così, la prima parte si compone come un dialogo critico con le prospettive del realismo ontologico di M. Gabriel, di quello speculativo di Q. Meillassoux e con il ‘trascendentalismo anticopernicano’ di D. Pradelle. Si tratta per Schnell di rivendicare da un lato, contra Meillassoux, una versione forte di correlazionismo, per il quale “ogni donazione di ‘qualche cosa’ è inscritta nel quadro orizzontale della comprensibilità” (p. 291) e, dall’altro, di ripensare il concetto, ripreso dallo Husserl di Idee I, di “essere non-modalizzato” (p. 25), inteso come pura posizionalità, ovvero come dissociato dalla sua datità e dunque come assoluto – e tuttavia in un rapporto di condizionamento mutuale con la coscienza. Proprio quest’ultima potrebbe dirsi essere una delle tesi fondamentali dell’opera: v’è, secondo l’Autore, che si rifà qui ad un’intuizione levinassiana, un rapporto di “condizionamento mutuale” (p. 20) tra la coscienza e l’essere non-modalizzato e scopo della fenomenologia generativa è precisamente di “mostrare che le ‘operazioni’ costitutive dell’istanza trascendentale (quale che sia il nome che le si dà [‘soggettività trascendentale’, ‘campo trascendentale’, ‘dimensione asoggettiva’, etc.]), implicano una sorta di effetto retroattivo del costituito sul costituente e che questo ‘condizionamento mutuale’ riguarda fondamentalmente l’essere” (p. 20). Ciò che è in gioco qui è l’idea della coscienza come attività che pone una pura posizionalità d’essere, la quale però precederebbe l’in-formazione da parte della stessa coscienza e anzi agirebbe su di essa in un movimento di retroazione. Per attingere questa sfera di condizionamento mutuale che costituisce la soglia minima d’esperienza e precede la scissione soggetto-oggetto, Schnell propone una fenomenologia generativa, che avrebbe come campo tematico “la schiusura e la deiscenza di un’eccedenza di senso al di là e al di qua di ciò che è fenomenologicamente descrivibile” (p. 23).
Si tratta dunque per l’Autore, come viene sottolineato a più riprese, di evitare da un lato lo scoglio del realismo ingenuo e dell’altro quello del soggettivismo, ontologico o antropologico che sia (p. 15), pur mantenendosi appunto senz’altro entro il quadro di un correlazionismo che vede nella coscienza il fondamento ultimo della donazione di senso e della manifestazione dei fenomeni – dove con ‘coscienza’ non si indica alcunché di essente, individuale o empirico, bensì “il campo ove si dispiega ogni fenomenalizzazione” (p. 210). La volontà di conciliare un’istanza ‘coscienzialistica’ senza però ricadere in qualsivoglia forma di soggettivismo, impone la necessità di mantenere anche un aspetto ontologico che ne garantisca l’ancoraggio a una ‘obiettività’, aprendo così una via per la determinazione dell’assoluto: questa attenzione ontologica propria della proposta di Schnell va nella direzione di un’indagine sull’essere – ovvero sulla “realtà oggettiva” (p. 209) – che sola può fornire l’apoditticità necessaria alla fondazione ultima di un sapere che appunto non si limita più solo ai fenomeni, ma rende conto di un’autonomia ontologica dell’essere dal pensiero. Questa ripresa del tema dell’assoluto non va però intesa alla maniera di Meillassoux, quanto piuttosto come la ripresa di un’istanza fondamentale dell’idealismo classico tedesco, ovvero la questione della legittimazione ultima d’ogni sapere.
Questo legame con l’idealismo è fatto oggetto di un’analisi specifica nella seconda parte del testo, intitolata Condizionamenti e dedicata ad una “messa in rapporto della fenomenologia in generale, e di quella husserliana in particolare, con la filosofia classica tedesca” (p. 96), mostrando come quest’ultima – animata in tutti i suoi autori da un’unica esigenza di fondo, ovvero “giustificare la conoscenza in quanto conoscenza” (p. 99) – fornisca degli strumenti metodologici speculativi in grado di superare alcune impasses in cui incappa la fenomenologia. Segnatamente, se la fenomenologia si interroga sulla legittimazione del sapere a partire dal “principio di tutti i principi”, ovvero quello dell’evidenza, che trova il suo fondamento in se stesso e nell’esperienza “che l’ego fa di se stesso in una costante concordanza” (p. 107) entro la sfera d’immanenza, si tratta di operare una “critica trascendentale” che permetta di indagare le “strutture trascendentali dell’esperienza di cui parla il fenomenologo” (p. 109). Secondo Schnell, lo strumento metodologico necessario per l’indagine della sfera pre-immanente, e dunque eo ipso pre-fenomenale, è la costruzione fenomenologica – illustrata diffusamente ne La déhiscence du sens – che “permette di orientarsi nella sfera pre-immanente [e] che non è a priori normata dalle determinazioni oggettive che si costituiscono nella sfera immanente” (p. 88). La costruzione fenomenologica – formula che a tutta prima appare quasi ossimorica, visto il costante invito fenomenologico alla descrizione – non va naturalmente intesa come “una costruzione metafisica a partire da semplici concetti” (p. 111), quanto piuttosto come un’operazione che mira a (ri)costruire le condizioni trascendentali costitutive di un certo fenomeno e imposte necessariamente dal modo di datità del fenomeno stesso, ovvero dal “factum” (p. 113). Dove i “facta” non coincidono con i ‘fatti originari’ (Urtatsachen) della metafisica, di cui non può esservi spiegazione fenomenologica, quanto piuttosto con ciò di cui la fenomenologia descrittiva non è in grado di render conto, giacché la costruzione fenomenologica cerca di portare in luce le operazioni in atto al livello pre-immanente della coscienza, che può apparire solo tramite un’auto-riflessione e che costituisce le condizioni trascendentali della stessa sfera immanente di coscienza – i tre campi principali che Schnell cita come costitutivi del piano d’immanenza coscienziale sono quello dell’intersoggettività, il processo di temporalizzazione originaria e l’irruzione della archi-hyle. Quindi, “il compito della costruzione genetica è di ricondurre dei facta alla loro genesi, ovvero alle operazioni della riflessione che ne offrono legittimazione” (p. 149). L’Autore sembra qui proporre una soluzione per risolvere quello che già Derrida – e non è un caso che gli ultimi lavori di Schnell siano proprio dedicati al pensiero del filosofo francese – considerava essere il vero problema della genesi, ossia che essa possa sempre rinvenirsi en retour a partire dal costituito, ovvero dal derivato, sfuggendo così ad un’intuizione in carne ed ossa.
Dunque, si può affermare che lo scopo ultimo del volume di Schnell sia quello di una fondazione ultima del sapere attraverso la scoperta del fondamento metafisico della correlazione stessa, ovvero di ciò che produce l’instaurarsi dei suoi due poli, il soggetto e l’oggetto. Tutto ciò potrebbe apparire quasi ossimorico entro un quadro fenomenologico classico, che non ritiene possa esservi una via d’accesso per il fuori della correlazione. Tuttavia, il percorso di Schnell mira a rintracciare il fondamento della correlazione su un piano precedente la scissione tra soggetto e oggetto, fra coscienza e mondo: un tale fondamento coincide con la sfera pre-immanente della coscienza o, per dirla con Fink, la dimensione di quel pre-essere che “dal punto di vista costitutivo, precede l’essere del mondo” (p. 137). Questa dimensione è quella dell’anonimo ed incessante movimento del farsi del senso (sens se faisant), di cui Schnell indaga la dinamica nella terza ed ultima parte del volume, dedicata appunto ai Lampeggi (Clignotements) dell’essere e del suo senso. In questo modo, l’Autore riuscirebbe a garantire l’ancoraggio del suo discorso filosofico ad un’istanza da un lato legata alla correlazione per quanto riguarda il suo manifestarsi, ma al contempo ontologicamente anonima – ovvero non legata ad un soggetto, empirico o trascendentale che sia – e indipendente, ovvero assoluta: questa sarebbe quindi la sfera trascendentale ultima dove si instaura “la relazione reciproca tra un potere costituente a-soggettivo e un essere fondante pre-empirico” (p. 91).
In definitiva, il volume di Schnell ripropone in maniera innovativa e originale temi e problemi dell’idealismo classico da un lato – segnatamente a partire da Fichte e Schelling – e del panorama fenomenologico – i riferimenti teorici principali sono qui E. Fink e M. Richir – in un dialogo critico con l’attuale realismo speculativo. Se pure in un costante e approfondito confronto con le suddette tradizioni filosofiche e in una loro personale interpretazione, Le clignotement de l’être, lungi dall’esserne un’opera di rilettura storiografica, si propone come un contributo teoretico originale al dibattito contemporaneo tra fenomenologia e nuovi realismi. Un’opera, dunque, che fatica certo a collocarsi pacificamente entro l’alveo dell’ortodossia fenomenologica contemporanea ed è forse proprio questo a testimoniare l’urgenza e la fecondità di un pensiero che tenti di ripensare l’inizio stesso, i fondamenti e lo statuto della fenomenologia trascendentale. Tuttavia, nonostante il grande interesse filosofico del progetto quivi presentato, l’interrogativo che rischia di accompagnare il lettore è, quasi paradossalmente, che cosa ne sia qui della fenomenologia. Infatti, si tratta da ultimo di indagare il fondamento dell’esperienza, ovvero della sua manifestatività e dell’apparire del senso – la sua deiscenza –, ma questo fondamento è attinto speculativamente e ci si può dunque legittimamente domandare che cosa permanga di propriamente fenomenologico in questa impresa. Infatti, come l’Autore stesso riconosce, la fenomenologia generativa, in quanto “idealismo speculativo fenomenologico”, “oltrepassa in modo coerente ogni principio che si limiti alla descrizione e all’evidenza intuitiva” (p. 304), e questo non può che far insospettire chiunque rammenti lo husserliano principio di tutti i principi o la definizione del termine ‘fenomenologia’ data da Heidegger nel celebre § 7 di Essere e tempo. In definitiva, ritengo sia lecito domandarsi se, quasi paradossalmente, nel tentare una fondazione ultima e assoluta del sapere fenomenologico, non si rischi di perdere la fenomenologia stessa.

(19 settembre 2024)

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