Francesco Giacomantonio è autore di numerosi libri e saggi che attraversano tematiche relative alla sociologia, alla filosofia e al pensiero politico. In La condizione post-ideologica egli argomenta idee già affrontate e pubblicate in riviste e indicate da lui stesso nell’Avvertenza posta in apertura. L’architettura del libro vede quattro capitoli preceduti da una breve introduzione e si conclude con un’ipotesi di epilogo. È un testo che si presta ad uno studio squisitamente accademico e ad un approfondimento per chi è impegnato in studi sociali, politici, storici e filosofici. Una sorta di bussola per chi avverte la necessità di orientarsi nel discorso contemporaneo muovendo dai grandi avvenimenti della storia e dai grandi teorici della sociologia, senza mai avere la presunzione di schiacciare la riflessione entro confini stabiliti ma, al contrario, provocando il lettore ad una fertile riflessione.
A tratti si avverte un sentimento nostalgico, tipico di chi guarda il mondo con disincanto e disillusione rendendo le parole particolarmente evocative di una dimensione immaginifica. Lo stile argomentativo e il lessico utilizzato risultano precisi e accurati, mai forzati o pretestuosi. La nostalgia per il passato rivela, forse, un’anima inquieta tipica di tanti intellettuali che, come Kien – il protagonista di Auto da fé di Elias Canetti –, dedicano il loro tempo al sapere per indagarlo con buon senso, evitando trappole e malintesi, vivendo l’esistenza alla luce di una illuminata consapevolezza. L’intenzione e la volontà dell’autore è «ispirare più che appagare desideri di approfondimento» (p. 35), allo scopo di evitare sterili convinzioni o cadute dogmatiche.
Il primo capitolo prende le mosse da una valutazione storica: il XXI secolo è in una fase post-ideologica che vede la società contemporanea distante dal passato e la sociologia è un punto di vista dal quale osservare le trasformazioni e la mutabilità delle relazioni umane sia da un punto di vista sincronico che diacronico. A partire dalla secolarizzazione fino all’attuale e preoccupante pretesa di misurabilità – concetto denunciato già da F. Ferrarotti – il contesto post-ideologico è caratterizzato dall’autoaffermazione individuale in cui il paradigma di riferimento è il successo riscosso dal singolo. Qual è la società post-ideologica di cui narra Giacomantonio? Una società priva di ideali, di ideologie, di narrazioni, di valori, svuotata di senso? L’autore svela le ragioni di questa fase post-ideologica a partire dalle degenerazioni della società complessa, all’interno della quale fra menzogna e verità non vi è più distinzione e il soggetto è annientato «dall’incapacità di aver autentica cura di sé» (p. 14), e sembra rimpiangere una sociologia – che pure continua nel suo impegno interpretativo e di analisi – differente, legata a un tempo in cui essa significava riflessione critica volta a indagare le dinamiche socio-politiche della società. Forse essa è caduta vittima di quella parcellizzazione del sapere ormai ben nota a tutti?
In questo scenario post-ideologico la società appare dominata da paura e crisi (cfr. p. 16): la paura liquida, l’imperterrita percezione di pericoli e rischi determinano una società priva di qualsiasi ideologia, ormai pressoché inutile, giacché il potere riconosciuto ai nuovi capitalisti è sufficiente ad inculcare verità stabilite e a legittimare il proprio dominio. Le analisi di Beck e Žižek sostengono l’idea secondo cui la logica del profitto abbia decretato una società cinica e priva di speranza. Traendo ispirazione da E. Hobsbawm, vengono indicate le caratteristiche del secolo breve: il trionfo delle scienze esatte e dell’economia, dell’individualismo, la dissoluzione del privato nel pubblico e poi del pubblico nel privato, il dissolvimento delle grandi ideologie. Tutto ciò ha dato vita ad una cultura narcisista. C’è da domandarsi se la società contemporanea deciderà di trafiggersi il petto, proprio come fece Narciso perché sopraffatto dal pentimento.
Dopo aver chiarito le possibili cause della perdita delle ideologie e l’importanza per la sociologia di compiere un esercizio di consapevole analisi attingendo alla memoria storica, Giacomantonio riflette sulla Sociologia della Conoscenza, che ha lasciato dietro di sé un’indagine attenta riguardante il senso sociale e si è trasformata, negli anni Ottanta, nella più neutrale Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi. L’autore spiega quali sono stati gli eventi storici e le esperienze intellettuali che hanno determinato questo cambio terminologico e di prospettiva. Eppure, la possibilità di una sociologia che si interroghi su «scienza, cultura, conoscenza e coscienza» (p. 33), per quanto sia oggi distaccata, rimane imprescindibile per comprendere le attuali dinamiche della società complessa e indagare il rapporto fra sapere e intelletto umano, un rapporto che va osservato in tutta la sua poliedricità storica e sociale.
La riflessione sui processi politici della società post-ideologica prende le mosse da tre concetti: il canone della modernità, l’idea di Europa, il modello neoliberale. La modernità – portatrice di scoperte, guerre, riforme, rivoluzioni e nuove idee sociali, economiche e politiche – ha determinato nell’arco di circa due secoli un nuovo modo di vivere la società. Certo un’evoluzione, ma non mancano delle aporie: la società secolarizzata sembra migliore di quella tradizionale ciononostante i rapporti sociali si dissolvano, i mezzi contino più dei fini, la mercificazione trionfi causando la fine delle ideologie e della democrazia stessa. A sua volta, la fine della democrazia decreta il fenomeno della globalizzazione e tutto comincia a frammentarsi, dando luogo, infine, a quello stato liquido della società introdotto da Bauman. Se nella prima parte si avverte la malinconia dell’intellettuale, ora si coglie un ragionevole ottimismo ispirato dai discorsi dialetticamente disincantati di Habermas e Lyotard.
L’autore si domanda se esista una società europea o se lo spirito europeo sia ormai perduto, rimasto indietro nel tempo come sosteneva Husserl e caduto nell’oblio assieme alle scienze dello spirito a favore delle scienze della natura. In questo caso, l’autore trova sostegno nella tesi gadameriana della necessità di un dialogo tra le lingue per salvaguardare una terra abitata da tutti allo stesso modo, ovvero «l’oikumene europea» (p. 45), e trova nella cura dell’altro un modo per ripensare l’uomo. Dalle considerazioni di Bauman, Giddens e Beck si chiarisce meglio il volto di un’Europa in crisi sottomessa ad una nuova dittatura, vale a dire ad un frenetico consumismo. La fine delle ideologie si è compiuta, ma il neoliberalismo è sopravvissuto. Per quale ragione? Perché esso viene indicato da molti come la risposta più facile alla crisi culturale e al capitalismo classico, tuttavia l’ideologia neoliberista causa l’ambigua idea di «una libertà senza autonomia» (p. 53).
Nel terzo capitolo l’autore esplora la dimensione individuale e sociale del soggetto, che si ritrova, suo malgrado, a vivere nuove forme di disagio. Disfunzioni e disturbi mentali e comportamentali sono oggetto di studio di scienze ben precise, eppure molti comportamenti sembrano derivare proprio dai contesti sociali. La fatica di essere se stessi. Depressione e società di A. Ehrenberg e L’epoca delle passioni tristi di M. Benasayag e G. Schmit sembrano rimandi quanto mai appropriati, e parlare di una «socio-patologia della vita quotidiana» (p. 57) non sembra affatto pretenzioso. Ma perché parlare di una socio-patologia quando esistono già innumerevoli scienze e discipline che da anni si occupano del disagio individuale? L’autore non si muove su un terreno incerto, ma sapientemente e saggiamente prende in esame gli aspetti caratterizzanti l’esistenza sociale di un individuo: la comunicazione, l’identità, il tempo. Sembra aver luogo una condivisibile proporzione: l’era del postmoderno: l’era della globalizzazione = l’era della comunicazione: l’era della solitudine. Inoltre, le nuove forme e i nuovi mezzi diventano inquietanti protesi dell’uomo, rendendogli inaccessibili le dimensioni reali della società e confinandolo in anonime forme virtuali che rappresentano motivo di disagio.
Giacomantonio prende in considerazione le pericolose e destabilizzanti ambiguità che caratterizzano coloro che vivono l’attuale e lunga fase adolescenziale e coloro che occupano contesti sociali e lavorativi più maturi. L’etica del Beruf viene sacrificata in nome di un fare funzionalistico dove è meglio tacere che criticare. «Il lavoro, come altri aspetti della società globale, sembra infatti iscriversi in quella generale fabbrica del non senso, che caratterizza tante dimensioni della vita post-ideologica» (p. 63). La dimensione lavorativa cade in quella realtà distopica che non lascia spazio né alla libertà né alla conoscenza. Dunque, parlare di socio-patologia non sembra né ingenuo né pretenzioso. In definitiva, viviamo davvero un nuovo tempo futuristico in cui prevalgono logiche capitalistiche e distopiche e i valori etici sembrano semplicemente inutili perdite di tempo?
Nel quarto capitolo l’autore espone la sua riflessione sul senso storico, sul ruolo della ragione e sulle logiche politiche prendendo spunto da autori come Spengler e Gramsci, Horkheimer e Hayek, Sartori e Žižek. Riferendosi a Il tramonto dell’Occidente di Spengler, Giacomantonio indica quest’opera come una chiave interpretativa nell’esaminare il senso storico della civiltà occidentale che ha attraversato fin dai suoi albori una fase discendente. Gramsci sottolinea la relazione fra storia e autocoscienza a partire dai suoi quaderni, dalla sua biografia, dalle sue riserve riguardo alla psicoanalisi e ne emerge la necessità di una coscienza e di una conoscenza storica. Per riflettere sul ruolo della ragione, l’autore propone Horkheimer, che prospetta un soggetto sociale capace di mettere in discussione «la fusione tra ragione e potere» (p. 77), e per il quale l’eclisse della ragione è in effetti un’idea dotata di senso poiché interpreta perfettamente la società contemporanea il cui paradigma d’eccellenza è un prodotto delle industrie culturali: il divertimento. Se in Horkheimer la ragione si dissolve, secondo Hayek la società contemporanea abusa della ragione secondo una mentalità sempre più ingegneristica. Sartori e Žižek completano la riflessione in merito alle logiche della politica. Sartori risulta guida illuminante per comprendere e definire il fenomeno della democrazia a partire dalle sue evoluzioni storiche fino alla crisi nella quale è caduta, sostenendo l’importanza di una correttezza terminologica. Žižek riflette sulla prospettiva neoliberale, in una società che appare sempre più depoliticizzata e assume una prospettiva ampia dove la libertà di scelta è tutelata proprio dall’esistenza di regole.
Conclude il testo un’ipotesi di epilogo, un’ipotesi che fugge da logiche «sia relativiste sia fondamentaliste» (p. 94) per assumere un punto di vista sociologico critico che possa comprendere la fase post-ideologica della società con lucida consapevolezza. Una ricchissima, e oltretutto utile, bibliografia completa l’opera.
Il libro di Giacomantonio è uno strumento conoscitivo basato su un’impalcatura teorica forte facente capo a diversi autori, un’analisi sociologica della società contemporanea, un invito all’esercizio della ragione. Tre concetti sembrano manifestarsi frequentemente: libertà, linguaggio, impegno. Temi fondamentali per chi voglia assumere uno sguardo sociologicamente critico e consapevole e sentirsi protagonista attivo del proprio tempo. Ci domandiamo se, in sede accademica, il confronto con gli autori proposti possa sviluppare dibattiti più estesi o portare la riflessione anche su altre figure come ad esempio Benjamin, già citato dall’autore, le cui parole tratte da Sul concetto di storia ci conducono verso la conclusione: «In ogni epoca bisogna tentare di strappare nuovamente la trasmissione del passato al conformismo che è sul punto di soggiogarla». Un’ultima considerazione concerne quel sentimento nostalgico che abbiamo percepito e apprezzato: occorre coltivare i valori e i sentimenti più intimi della persona per poter criticare le aporie di una società priva di ideologie ed evitare di cadere all’interno di un distopico panottico foucaultiano.
(29 settembre 2025)

English