mercoledì , 16 Luglio 2025
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195. Recensione a: Elena Romagnoli, Oltre l’opera d’arte. L’estetica performativa di Gadamer tra idealismo e pragmatismo, ETS, Pisa 2023, pp. 154. (Chiara Vita)

Il testo di Elena Romagnoli Oltre l’opera d’arte propone un’originale interpretazione dell’estetica di Gadamer. Si tratta di un saggio gadameriano fino in fondo: il pensiero di Gadamer non ne è soltanto oggetto ma, soprattutto, si pone come modello metodologico di riferimento. Il filosofo scriveva che «il comprendere non è mai solo un atto riproduttivo, ma anche un atto produttivo. […] La comprensione non è mai, in realtà, un “capir meglio” […]. Quando in generale si comprende si comprende diversamente» (Verità e metodo, Bompiani, 2000, p. 615). Ed è diversamente che Romagnoli interpreta l’estetica gadameriana: l’autrice, cioè, non si limita a cogliere e chiarire ciò che il pensatore dice in modo esplicito, ma scova e sviluppa ciò che può essere letto solo tra le righe. Le parole del filosofo, in tal modo, acquistano una nuova vita, si aprono a nuove prospettive di senso e si prestano, quindi, ad una riflessione su questioni urgenti dell’estetica contemporanea.
Ciò che l’autrice rintraccia in potenza nell’estetica gadameriana è l’idea dell’arte come esperienza di vita. Il saggio, cioè, invita il lettore a pensare, attraverso Gadamer, ad un’arte che vive oltre i confini del museo, oltre l’opera: nel mondo stesso, seguendo le parole di René Magritte poste in esergo, incontriamo la medesima astrazione dei dipinti. Il legame tra arte e vita non coincide con l’estetismo, cioè con l’esaltazione di un ideale di bellezza eccezionale a cui la vita dovrebbe conformarsi, ma con la convinzione che la stessa vita, anche nelle sue più piccole e semplici cose, sia dotata di una qualità estetica. È proprio perché contiene in nuce questa idea che il pensiero di Gadamer può essere posto in continuità – come fa Romagnoli – con l’estetica del quotidiano e del paesaggio, a cui è dedicato il quarto e ultimo capitolo del testo.
Per seguire fino in fondo la tesi dell’autrice, per capire, cioè, perché l’estetica gadameriana può essere sviluppata nella direzione dell’equazione tra arte e vita, è necessario, prima di tutto, comprenderne i fondamenti concettuali. L’arte, secondo Gadamer, è esperienza di verità. Che cosa si intende con esperienza? Che cosa con verità? Il significato di questi due termini – che resta implicito nelle parole dell’autrice – rappresenta la chiave per accedere al testo. L’esperienza è, per il pensatore tedesco, Erfahrung, viaggio, scoperta, incontro. Fare esperienza significa incontrare l’alterità e farle spazio nel proprio mondo lasciando che essa lo trasformi. Questo itinerario di incontri non ha una meta, ma è un cammino sempre in fieri. Dire questo significa dire molto non solo sull’essenza dell’esperienza ma anche su quella della verità. Se per Hegel l’Erfahrung si conclude con il sapere assoluto, per Gadamer, invece, ogni esperienza «contiene sempre un riferimento a nuove esperienze» (Verità e metodo, p. 733), in ogni esperienza è insita l’impossibilità della sua interruzione. Questo perché non esiste una verità come possesso perpetuo, una certezza assoluta in cui l’esperienza troverebbe il suo compimento e la sua fine, ma la verità è evento, è quell’apertura originaria a cui compartecipano soggetto e oggetto che, mettendosi in dialogo, negoziano, di volta in volta, il senso delle cose. Ogni incontro tra mondi in cui l’esperienza consiste è, dunque, ascolto, dialogo e produzione di significati che, pur appartenendo alla verità, non la esauriscono mai del tutto. Alla luce di quanto detto sull’esperienza e sulla verità, se l’arte è esperienza di verità, evidentemente il luogo in cui si compie non è l’opera d’arte ma l’incontro tra il mondo dell’opera e quello dello spettatore, un incontro in cui c’è in gioco, ogni volta, una nuova comprensione. L’opera non si realizza in se stessa perché essa non custodisce un senso assoluto, una verità definitiva che la estinguerebbe nel momento stesso della sua creazione, ma è un’infinita fonte di significati. L’arte, dunque, è sempre al di là dell’opera: è nella vita degli uomini, nei diversi modi in cui essi comprendono l’opera d’arte e, al tempo stesso, ne sono trasformati, ed è vita perché è «un processo […] inesauribile» (p. 122) di “messa in vita” dell’opera.
Le opere, dunque, «divengono propriamente opere d’arte» (p. 121) nel momento dell’interazione con lo spettatore, cioè nella performance. È su questo che si fonda la tesi centrale del saggio: l’estetica di Gadamer, a differenza di quanto sostenuto da alcune interpretazioni, non ha carattere testualista ma performativo. Come l’autrice mostra nel terzo capitolo del saggio (specificatamente dedicato alla tesi del carattere performativo dell’estetica di Gadamer), gli elementi dell’arte gadameriana che concorrono ad una lettura di questo tipo sono l’iterabilità e la situatività: l’opera d’arte si ripete nelle differenti interpretazioni ed è sempre determinata da una situazione – sia quella dell’artista che l’ha prodotta sia quella del fruitore che la interpreta o la esegue – perché, come abbiamo visto, non è portatrice di una verità definitiva, ma è radicata nella storia, nella vita degli uomini.
Non solo l’arte è nella vita e, in quanto performance, è vita ma, a partire dall’ermeneutica gadameriana, potremmo dire che la stessa vita ha un’essenza estetica. Il pensiero di Gadamer, infatti, si fonda sull’idea di matrice heideggeriana che ogni rapporto con la realtà è di natura linguistica: l’uomo vive nel mondo interpretando e dando significati a se stesso e a ciò che lo circonda. In ogni momento della vita, dunque, c’è in gioco un evento di comprensione in cui, così come avviene nell’arte, soggetto e oggetto dell’esperienza vengono trasformati. È per questo che anche bere un caffè al bar, seguendo l’esempio delle ultime pagine del saggio sull’estetica del quotidiano, può essere molto di più di una routine: può essere un’esperienza estetica se nuovi elementi di comprensione intervengono a trasformare lo sguardo del soggetto sul mondo. «Cogliere lo straordinario nell’ordinario» (p. 150): è questo che, secondo l’interpretazione di Romagnoli, possiamo leggere tra le righe del testo di Gadamer. La possibilità di una tale lettura si fonda sul carattere ermeneutico dell’esperienza a partire da cui è possibile legare il pensiero gadameriano all’idea della continuità tra arte e vita e, quindi, interpretarlo in senso performativo.
Se è vero che nella filosofia di Gadamer sono iscritte delle potenzialità performative, il luogo in cui, secondo Romagnoli, tali potenzialità trovano la loro attivazione è il confronto con la filosofia di Dewey, a cui è dedicato il secondo capitolo del saggio. Sebbene le due prospettive non possano essere uniformate – cosa che l’autrice sottolinea più volte –, tuttavia, ci sono dei caratteri comuni che, se fatti emergere, gettano una nuova luce sull’estetica di Gadamer. Il punto in cui i due pensatori convergono è il tentativo di ripensare l’esperienza in senso integrale e, di conseguenza, la critica al dualismo kantiano. La contrapposizione tra soggetto e oggetto ha prodotto sia la svalutazione dell’esperienza sia la separazione tra le diverse esperienze umane incidendo anche sul carattere dell’arte. Se l’unica esperienza possibile è quella per cui il soggetto si appropria dell’oggetto, cioè quella scientifica, evidentemente il fenomeno artistico non sarà propriamente un’esperienza, ma il frutto di un’illuminazione geniale. Contro l’idea di un’arte separata dalla vita quotidiana, privilegio del solo genio, sia Gadamer che Dewey, riprendendo Hegel, rivendicano, invece, il carattere sociale del fenomeno artistico: l’arte, insieme alle altre esperienze della vita, concorre alla formazione dell’umano. L’esperienza, dunque, non coincide esclusivamente con quella scientifica: per i due pensatori, c’è esperienza laddove il mutuo scambio tra soggetto e oggetto, originariamente co-implicati, produce una trasformazione. Secondo Dewey, quando questo scambio conduce a nuove configurazioni armoniche, l’esperienza diventa arte. È in tal senso che, per il pensatore americano, «l’esperienza è arte in germe» (p. 74), idea che, come abbiamo già visto a partire dalla nozione di carattere ermeneutico dell’esperienza, è iscritta anche nella filosofia di Gadamer. I due, dunque, condividono l’idea della continuità tra arte e vita in un duplice senso: ogni fenomeno artistico è esperienza e, al tempo stesso, in ogni vera esperienza c’è una componente estetica.
L’immagine che, attraverso il confronto con Dewey, affiora dell’estetica gadameriana è quella di una filosofia di carattere storico-antropologico, continuista e antieccezionalista che, a differenza di quanto sostenuto da diverse interpretazioni, non è inattuale e conservatrice ma si presta a delle riflessioni di natura politico-sociale. Questo emerge soprattutto nell’ultimo capitolo attraverso l’applicazione della filosofia gadameriana all’estetica del quotidiano e del paesaggio. Se il fenomeno estetico non riguarda solo le “vette sublimi” ma anche il quotidiano, tutti gli ambienti che ci circondano, così come ritiene l’estetica del paesaggio, possono avere valore artistico. Dalla continuità tra arte e vita deriva, quindi, una riflessione che va al di là del mero ambito estetico toccando questioni di urgente attualità tra cui il rispetto e la responsabilità per l’ambiente. Questioni a cui Gadamer, nella convinzione di una comune appartenenza di soggetto e oggetto alla storia, risponde promuovendo un rapporto di dialogo e partecipazione tra uomo e natura, contro ogni prospettiva dualistica e, dunque, di dominio. L’attualità del pensiero gadameriano emerge anche a confronto con l’estetica del quotidiano: l’idea che nelle attività di ogni giorno si celi l’unicità e la bellezza delle opere d’arte è alla base di un diverso rapporto con la vita, un rapporto di attenzione e ascolto, senza i quali non potremmo riconoscere il valore delle piccole cose. D’altronde, rispetto, ascolto, attenzione e responsabilità non possono che essere il cuore di una prospettiva come quella gadameriana fondata sul linguaggio e, soprattutto, sul dialogo. Il saggio di Romagnoli, di certo, ha il merito di riconoscere questi elementi, di svilupparne le potenzialità e, dunque, di mostrare un volto diverso, più attuale, dell’estetica di Gadamer.

(20 maggio 2025)

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