martedì , 19 marzo 2024
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71. Recensione a: Davide Susanetti, La via degli dei. Sapienza greca, misteri antichi e percorsi iniziatici, Carocci, Roma 2017, pp. 264. (Igor Tavilla)


Pur poggiando su un’ampia e solida base scientifica, La via degli dei. Sapienza greca, misteri antichi e percorsi iniziatici di Davide Susanetti, professore di letteratura greca all’Università di Padova e membro della Società Internazionale per lo studio del pensiero esoterico, trascende ampiamente i limiti dello studio specialistico, tesa com’è verso “una rifondazione etica della contemporaneità su canoni tradizionali” – per citare un’opera di Angelo Tonelli, allievo di Giorgio Colli e curatore di una fortunata serie di volumi sulla sapienza antica che figurano nella nota bibliografica con cui il testo di Susanetti si conclude.
Le intenzioni dell’autore traspaiono con chiarezza sin dalle pagine della Premessa, che si sovrascrivono con notevole suggestione a quelle del capolavoro di Clarice Lispector La passione di G.H., romanzo metafisico in cui la protagonista racconta di come di fronte ad una esperienza apparentemente banale ma inattesa, l’incontro con uno scarafaggio, il suo io vada in frantumi e come questa dissoluzione renda poi possibile la conquista di un’identità più profonda, radicata nell’essere stesso del mondo.
L’uomo moderno, rileva Susanetti, è molto lontano da questa prospettiva, innanzitutto perché la crisi non è più avvertita come un’emergenza dolorosa e improvvisa ma accolta come uno stato di permanente e ineluttabile fluidità, a cui l’umanità cerca di sopravvivere con una serie di azioni volte a rendere l’io più performante e “resiliente”, parola abusata di questi tempi e indicativa della volontà del piccolo io di restare attaccato alla propria identità illusoria. Ma la cura di sé, sostiene l’autore, più che di un adattamento “cosmetico” alla realtà, esige l’oltrepassamento dell’umano, la “disumanizzazione” dell’uomo, seguendo l’antica pratica dei misteri, che, declinata in molteplici varianti, può essere ricondotta al seguente schema: disfacimento del soggetto – inteso come identità fittizia, come “persona” nel senso etimologico di maschera – e rinascita alla vera vita, a seguito di una illuminazione procurata da un’esperienza iniziatica che sia un autentico “ex-per-ire, andare attraverso completamente, fino al termine ultimo, fino a quel niente che si rovescia in essere” (p. 13).
L’opera consta di sette capitoli, il primo dei quali, “Tra vita e morte. L’esperienza dei misteri”, ci introduce al lessico e alla pratica dei misteri di Eleusi e a quelli dionisiaci. Alla base della sapienza iniziatica sta il principio del “páthei máthos” del conoscere attraverso la sofferenza. L’iniziazione ai misteri si configura perciò come un’esperienza di morte, “un annientamento […] che interrompe gli automatismi dell’esistenza ordinaria e manda in pezzi l’individualità soggettiva” (p. 21), di cui il rapimento di Persefone e lo smembramento di Dioniso, come pure il rito cui Demetra, approdata sui lidi di Eleusi, sottopone il figlioletto del re, Demofonte – immerso ogni sera nella fiamma viva del fuoco – o lo stesso sparagmòs di Penteo sono la sublimazione mitica. La morte iniziatica dà inizio a un processo metamorfico di divinizzazione culminante in una epoptéia che ha il potere di portare a compimento, di realizzare l’essere, secondo uno dei possibili significati che Susanetti associa alla teleté eleusina.
Nel secondo capitolo, “Folgorazioni arcaiche. Tra Pitagora ed Empedocle”, l’autore ci ricorda lo statuto sovraumano di sapienti quali Pitagora, Eraclito, Parmenide di Elea e infine Empedocle. Depositari di un sapere accessibile a pochi iniziati, maestri di una “scienza sacra” cui si accede per illuminazione, o per rivelazione divina, autori di gesti simbolici e rituali, da cui traspare l’aristocraticismo di una forma di vita, che non è riduttivamente sistema di pensiero, nel senso profano del termine, ma bíos ascetico proteso a forzare i limiti dell’umano, in vita e in morte. Non ultimo dei meriti del lavoro di Susanetti è proprio quello di ricollocare la speculazione dei presocratici su un terreno mistico-religioso, smentendo così la vulgata di una filosofia antica come incubatore della scienza galileiana e lontana promessa del razionalismo moderno.
Nel terzo capitolo – “Cosmo, caverna, città. Itinerari simbolici fra Platone, Plutarco e Porfirio” –, Susanetti approfondisce il significato simbolico della caverna a cominciare dall’Antro delle ninfe di Porfirio, un’interpretazione allegorica dell’omerico porto di Forco, alla luce della quale l’intera Odissea appare come “la narrazione simbolica di un’anima che riesce, con perseveranza e determinazione, con saggezza e virtù, a sottrarsi al “mare” della materia, ai flutti agitati e perigliosi del divenire” (p. 86); per passare poi all’“antro di Trofonio” in Beozia, utero della seconda nascita di Timarco, riferita da Plutarco in Sul demone di Socrate, e infine alla celebre allegoria platonica della caverna, inserita nel VII libro della Repubblica, dialogo di cui Susanetti mette in evidenza la cornice esoterica, segnata dalla discesa (katábasis) al Pireo di Socrate e la risalita (anábasis) dell’anima, libera dai vincoli dell’apparenza, verso la contemplazione del Sommo bene, passando per un doloroso processo di purificazione.
Il quarto capitolo, “Parti e incantesimi. La singolare sapienza di Socrate”, ci presenta la figura di Socrate da un’angolatura poco frequentata, dando nuovo significato alla sua proverbiale stravaganza. L’atopia di Socrate, la sua eccentricità è infatti il destino di chiunque aspiri alla sapienza: “un totale spaesamento come possibilità di un nuovo inizio, uno smarrirsi per trovare altro spazio e altro tempo nel cuore della vita” (p. 116). La confutazione a cui Socrate sottopone i propri interlocutori, sedicenti sapienti, non è quindi un puro esercizio dialettico, ma un vero e proprio trauma, un arresto dell’esistenza ordinaria, e insieme spogliazione dalle false opinioni dietro cui ciascuno di noi ama celarsi, a partire dal quale è possibile avviare un autentico percorso di trasformazione interiore. Da qui la potenza incantatrice del dialogo socratico, il quale non è semplice ragionamento ma incantesimo, “una parola che ‘fa’, un atto rituale che agisce e che, nell’iterazione, produce stati della mente e condizioni d’essere ben al di là della razionalità discorsiva” (p. 139).
Nel quinto capitolo “Misteri d’amore. Tra Platone e Apuleio”, l’amore si impone come evento iniziatico privilegiato, come anello di congiunzione tra l’umano e il divino: “è il supremo metaxú, ciò che sta “in mezzo”, l’“intermediario” dinamico tra natura mortale e natura immortale” (p. 154). Se già l’erotica del Simposio appare legata alla dimensione misterica, incarnata da Diotima di Mantinea, nel Fedro il percorso che Socrate compie insieme al giovane Fedro lungo il corso dell’Illisso, unisce metaforicamente l’“erotikos logos” ai Piccoli Misteri che venivano celebrati presso il santuario di Agra, sulle rive di quello stesso fiume. La vicenda di Amore e Psiche, narrata da Apuleio, non è poi altro che la drammatizzazione dell’itinerario iniziatico che ogni anima deve intraprendere per conquistare l’amore, accettando di subire i supplizi e le prove rituali inflitte da Venere, fino a cadere nel torpore che le consente di attraversare l’ultima soglia prima di congiungersi con il suo amato e generare Voluptas “uno stato di pienezza e di perfezione, una gioia assoluta che eccede ogni misura mortale e ogni esperienza ordinaria” (p. 191).
Nel sesto capitolo, “L’opera divina. Tra neoplatonismo e teurgia”, Susanetti ci ricorda come la cosmologia del Timeo ponesse, attraverso il neoplatonismo, le basi di una concezione magica del mondo, destinata a influenzare profondamente il naturalismo rinascimentale. “Tutto il cosmo è legato, in orizzontale e in verticale, da una trama di corrispondenze. Una portentosa sumpátheia, un ‘co-sentire’, che è comunanza e affinità, attraversa l’universo, facendo sì che ogni parte e ogni elemento, a seconda della sua funzione e della sua specifica natura, ‘senta’ e ‘risponda’ a un’altra” (p. 199). Quest’unità simbolica consente al teurgo di entrare in comunione con la divinità e di acquisire la capacità di intervenire sulla natura e sui corpi, modificando gli stati della materia, facendosi a sua volta demiurgo della realtà, suggellando infine la propria realizzazione nel rito dell’anagogé, “dell’elevazione che consente di accedere alla condizione permanente di un’immortalità divina” (p. 212).
Nel settimo capitolo “Segreti ermetici e pratiche alchemiche”, Susanetti ha modo di ribadire che la gnosi, al centro della rivelazione ermetica non è semplice dottrina, conoscenza logica, ma conoscenza pneumatica, dúnamis capace di trasformare in dio chi la pratica. La nigredo alchemica, “cui l’adepto di Ermete deve sottoporre la propria materia per poterla rigenerare”, è l’inversione stessa del processo della creazione da cui poter procedere a una palingenesi dell’essere – da qui l’immagine del serpente che si morde la coda e dell’uovo cosmico, care agli alchimisti. Ogni percorso trasformativo che concede l’accesso alla stirpe divina necessita anzitutto della riduzione al nero, “[p]erché è solo così, attraverso la ‘macerazione’ di un dolore assoluto, attraverso l’‘ascesi’ dell’estremo, che si possono risalire i gradini della luce.” (p. 244).
Gli strumenti storico-filologici che Susanetti padroneggia con maestria non si prestano a un esercizio di pura erudizione fine a se stessa, ma si mobilitano piuttosto in vista di un riposizionamento dell’uomo su canoni tradizionali – in continuità ideale con l’opera di Ananda Commaroswamy, René Guénon e Julius Evola, più che con quella di Giovanni Reale e della Scuola di Tubinga. La via degli dei si presenta dunque come la palinodia di una mentalità, quella razionalista, che pur avendo perduto l’arroganza scientista e la grettezza materialista delle passate ideologie, non per questo è oggi meno insidiosa, avendo assunto l’ubiquità di un luogo comune impalpabile. Così come Socrate fa con Fedro, Susanetti ci insegna a non decostruire il mito in cerca di un sottotesto banalizzante. Occorre semmai esaminarsi alla luce del mito, lasciarsi persuadere da esso, destrutturando la nostra mendace identità per giungere finalmente a conoscere se stessi.

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