martedì , 19 marzo 2024
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138. Recensione a: Cass R. Sunstein, Sulla libertà, a cura di F. Pe’, Einaudi, Torino 2020, pp. 104. (Mattia Spanò)

Essere liberi non significa semplicemente possedere l’incondizionata possibilità di scegliere. Quest’ultima è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Occorre addentrarsi in profondità nel concetto di libertà, scandagliarne il fondo e solcarne la più o meno ampia gittata delle insite implicazioni pratiche. E in questo arduo, ma ineludibile, tentativo accostarsi ad un’ulteriore dimensione costitutiva della libertà: la capacità di orientarsi. Questo il nucleo di fondo di una delle ultime opere dell’economista e pensatore americano Cass R. Sunstein: Sulla libertà. Il tema è caldo, delicato, perché costantemente presente tra i punti all’ordine del giorno del dibattito culturale. E non sempre affrontato, elaborato, discusso con la dovuta perizia. A tratti inflazionato, non di rado vittima di un’eccessiva esemplificazione – anche quando ciò accade in buona fede –, il concetto di libertà ci riguarda profondamente perché, con tutto il suo carico di pesantezza, pone costantemente l’uomo davanti al proprio corpus esistenziale ed esistentivo. Per le più disparate cause si frequenta, oggi, il problema della libertà, che si configura come un concetto – a maggior ragione se nei termini posti da Sunstein – ancestrale, originario, archetipico. Perché si radica in quella metamorfica intercapedine in cui si incontrano, confrontano, avvicendano la dimensione individuale e l’universo comunitario, la parte ed il tutto, la stasi ed il movimento, l’unità e la molteplicità.
La prospettiva da cui prende le mosse Sunstein – come si è anticipato – è, infatti, lontana da ogni forma di puro individualismo: la libertà non risiede solo ed esclusivamente nell’incondizionata possibilità di scegliere, di agire. È necessario che a questa cornice di potenzialità si affianchi una consapevolezza di fondo, definita dall’autore dell’opera «navigabilità».
Se infatti il grado di libertà di un individuo non può che definirsi sulla base dell’effettiva possibilità di realizzazione della libertà stessa – in un costante confronto con l’altro e la dimensione comunitaria –, all’individuo tocca comprendere se e in che misura, con gli elementi che ha a disposizione, possa effettivamente realizzare i propri obiettivi. O, tirando il discorso allo stremo, possa realizzare addirittura il sé. È in questa cornice che Sunstein propone un interrogativo prospettico, attorno al quale si sviluppa l’intera opera: ammesso che «la libertà di scelta promuove il benessere umano», «cosa succede se le persone non sanno quello che vogliono?» (p. 3). Da qui la fondamentale importanza, sostenuta a più riprese dall’autore, della «navigabilità» – la capacità di orientarsi nel mondo. Perché «gli ostacoli alla navigabilità sono una delle principali fonti di non-libertà nella vita umana. Creano una sorta di schiavitù» (p. 4). Soprattutto nei confronti di individui con seri problemi di autocontrollo o di chi, pur sapendo di sbagliare, persevera in un determinato stato di cose che finisce per intaccarne esizialmente libertà e benessere. In questo quadro, Sunstein si sofferma sulla potenziale ricchezza di ciò che definisce «nudges, “pungoli” o “spinte gentili”: interventi che guidano le persone in determinate direzioni, pur tutelando la loro libertà di scelta» (p. 8). Torna dunque l’originaria e mai sopita questione dei rapporti tra individuo e comunità, frammento ed intero. Cornice entro cui si colloca e si configura il mai-del-tutto assoluto concetto di libertà. Il singolo soggetto non può esaurire il concetto di libertà nella mera possibilità di scegliere semplicemente perché non si è mai del tutto liberi solo per il fatto di poter agire liberamente: «Può darsi che le persone non sappiano come raggiungere il luogo dove vogliono andare. Al pari di Adamo ed Eva, possono cadere in tentazione. A volte non hanno autocontrollo. Molto dipende dalle condizioni di partenza. A volte le scelte non sono autonome, nel senso più profondo del termine, perché vengono compiute da individui impoveriti, ingannati o manipolati. A volte le persone non dispongono di informazioni cruciali. A volte le loro preferenze sono il frutto dell’ingiustizia o della miseria. A volte commettono semplicemente degli errori. Di conseguenza, la loro vita peggiora, e di molto» (p. 8).
A ben vedere, l’uomo, si ritrova gettato nel mondo – non sicuramente per una libera scelta dell’individuo – in un determinato contesto. Dal mondo sorge, di questo si nutre e si impregna – tanto materialmente quanto spiritualmente – e a questo ritorna. E, cosciente o meno che lo sia, «ognuno di noi compie le proprie scelte all’interno di un ambiente specifico, che le condiziona. Tale ambiente prende il nome di architettura della scelta» (p. 12). Se sul piano ontologico è la stessa natura a determinare l’ambiente entro cui ogni individuo può esercitare la propria libertà – dal nascere in un certo contesto alla Stimmung derivante da particolari condizioni, addirittura in alcuni casi anche meteorologiche – a livello sociale-comunitario l’architettura della scelta è strutturata anche dall’insieme di norme, valori, credenze e simboli definito dai settori pubblico e privato. Solo in parte, ogni singolo individuo può dirsi del tutto libero nel momento in cui compie le proprie scelte, che sono «spesso […] il prodotto di un’architettura della quale nessun essere umano è responsabile» (p. 13). In quest’orizzonte, secondo Sunstein, entra in gioco il fondamentale apporto delle spinte gentili, dei pungoli. Termine, quest’ultimo, che non può che rimandare al nucleo dell’attività filosofico-prassica di Socrate, che, come un «tafano», tentava di stimolare al pensiero ed all’azione i cittadini ateniesi nel segno del costante ed asintotico approfondimento di sé e del mondo.
Ed effettivamente la proposta di Sunstein – pur con le dovute differenze – non si discosta molto da questa prospettiva. In primo luogo, perché si configura come il tentativo di fornire una «mappa» che indichi nuovi e diversi itinerari per soffermarsi sulla condizione dell’uomo. Non un’unica, e prescrittiva, soluzione. È il passo successivo all’ammissione di ignoranza, l’asintotico ed ininterrotto «conosci te stesso». Il che significa tentare di approssimarsi alla propria essenza di frammento di una comunità, gettato in una determinata collocazione nell’intero. In seconda battuta, perché Sunstein propone una manovra maieutica non coercitiva – per quanto alle battute finali del testo abbia anche modo di sostenere con cautela che, in alcuni casi, «abbiamo buone ragioni di credere che l’obbligo migliori la vita ai consumatori» (p. 79).
Tra casistiche astratte e ripercussioni concrete, spunti che attraversano l’opera di Mill e Bentham, tracce teologiche e letterarie, il senso delle «spinte gentili» di Sunstein si condensa in un intervento volto a tracciare sentieri che consentano all’individuo di esercitare la propria libertà in un’architettura della scelta per certi versi già definita. Problematica, questa, che si pone a livello interpersonale, privato ma anche sul piano statale-governativo. A veder bene, infatti, siamo tutti costantemente potenziali architetti della scelta, fautori di «spinte gentili». In quanto individui e frammenti di una complessa trama sociale-comunitaria e politica, oltre che privata. L’interesse di Sunstein – da profondo conoscitore dell’assetto istituzionale – si volge tanto agli apparati governativi quanto ad ogni singolo soggetto che, in minore o maggiore misura, agisce comunque politicamente nella nebulosa relazionale, comunicativa, sociale. Se per politica si intende non solo – come correntemente accade – quella governance che oggi ci appare tanto lontana ma anche – facendo qualche passo indietro, tra pensieri, elaborazioni, strade, piazze e vicoli della Grecia arcaica e classica – qualunque estrinsecazione del sé nella cosa pubblica. Ognuno secondo le sue prospettive, attività, funzioni imprime la propria impronta in un unico flusso. Allora, in vista della tutela della libertà di ogni individuo, risulta necessario soffermarsi su quell’ambiente in cui è possibile esercitare la propria possibilità di scelta e di azione. E risulta innanzitutto ineludibile farlo a livello sistemico, affinché con un costante ed impegnativo lavoro si riescano a strutturare dei solidi ma flessibili argini strutturali che permettano ai cittadini di esprimere liberamente la propria persona: smussando i problemi di autocontrollo, fornendo dei punti di riferimento a chi, disorientato, non sa dove dirigersi o a coloro che, pur sapendolo, non posseggono elementi a sufficienza per stabilire un itinerario adatto; in-formando anche quei soggetti che, «pungoli» o meno, sarebbero «felici comunque» (p. 60). Insomma, rivolgendosi alla comunità umana in modo tale da tracciare vie alternative che ne arricchiscano la conoscenza e ne accrescano, di conseguenza, una libertà di scelta che va curata ma anche, in parte, arricchita. Perché la formazione si configura, costantemente, anche come de-formazione. Naturalmente non nei termini di un intervento autoritario volto ad imporre, con coercizione, un insindacabile cambio di direzione. Ma nella forma delle «spinte gentili» proposte da Sunstein. In altri termini, alla crescita asintotica della contezza di sé e del mondo, cresce – al pari, a mo’ di asintoto – anche la libertà di scelta di ogni soggetto. A livello sistemico, questo processo conoscitivo va sostenuto. Ma anche ogni singolo individuo, giocoforza, distribuisce costantemente «pungoli» – più o meno gentili – nel mondo. E la sfida consiste nel farsi carico di quel costante lavoro di approfondimento che restituisca un maggior margine di effettiva libertà al sé ed all’altro; così come nel sempre perfettibile esercizio di monitoraggio sui più ingerenti – per collocazione, funzioni svolte e ruolo ricoperto – architetti della scelta. I quali, in altri contesti, non sono che individui che si rapportano con il mondo, al di là delle cristallizzazioni sociali. Allora ci si ritrova in un ciclo di costante affinamento del sé e della propria libertà, in cui nulla è irrilevante. Ognuno conserva la possibilità di imprimere la propria impronta nel mondo, con tutte le relative, diverse e policromatiche conseguenze del caso. Ognuno dalla propria prospettiva, attività, funzione, in un unico ma molteplice flusso. Libertà, individuo e collettività, frammenti ed intero, unità e molteplicità, stasi e movimento. Questioni calde, delicate, ancestrali, originarie, archetipiche. Domande aperte da abitare. Orizzonti ai quali tendere. Con la consapevolezza che «per il futuro, dobbiamo riflettere molto più a fondo sugli ingredienti del benessere, attingendo sia dalle prove sia dalla teoria. Dobbiamo aiutarci con l’arte, la letteratura, le scienze sociali, il diritto e la teologia» (p. 84).

(11 ottobre 2022)

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