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142. Recensione a: Filippo Nobili, La prospettiva del tempo. L’idealismo fenomenologico di Husserl come autoesplicitazione della soggettività trascendentale, Mimesis, Milano-Udine 2022, pp. 406. (Lorenzo Biagini)

Comprendere la fenomenologia di Husserl, una delle più rilevanti tradizioni filosofiche novecentesche, vuol dire interrogarsi anche e soprattutto sul senso più proprio del suo idealismo trascendentale, spesso diventato punto di contestazione da parte di tanti suoi allievi ed eredi più o meno prossimi. Tale impresa interpretativa è al centro del lavoro di Nobili, che affronta il mare magnum husserliano adottando il punto di vista della ricerca sul tempo, la Zeitfrage. L’autore, infatti, individua in quest’ultima il filo conduttore della propria ricerca nella convinzione che «la temporalità rappresent[i] un plesso problematico in grado di retroilluminare l’evoluzione della teoresi husserliana» (p. 34) e che quindi, ben lungi dall’essere una semplice problematica circoscritta, essa ne costituisca il «nucleo magmatico» (p. 45). Infatti, come sottolineato a più riprese, lo sviluppo complessivo della filosofia di Husserl procede dapprima grazie ad una prassi analitica focalizzata su temi di ricerca il cui dipanarsi, inconsciamente, trasvaluta il senso della fenomenologia, per poi ricomprendere in un secondo momento, a livello della riflessione teorica, l’impatto sistematico di questa trasvalutazione. In particolare, il legame tra tempo e idealismo deriva dalla convinzione che «il sistema dell’idealismo fenomenologico-trascendentale riscontri implicitamente la propria anticipazione in un’idea di fondazione incentrata sul chiarimento preventivo della natura correlativa della temporalità fenomenologicamente intesa» (p. 35).
Ciò vuol dire che il tratto distintivo dell’idealismo fenomenologico, cioè il suo essere un idealismo correlativo del senso, può essere fatto risalire alle analisi sulla temporalità, in cui il carattere intrinsecamente correlativo della costituzione emerge con una forza tale da motivare una modifica strutturale della fenomenologia. A ciò va aggiunto il fatto che la penetrante indagine sulla dinamica di implicitazione del senso portata avanti dal processo di temporalizzazione consente di gettare una nuova luce su cosa significhi che l’idealismo fenomenologico consiste nell’autoesplicitazione della soggettività trascendentale, secondo la definizione presente in Logica formale e trascendentale (§ 104) e Meditazioni cartesiane (§ 41). Uno dei tratti distintivi di questo lavoro è, dunque, di integrare coerentemente la discussione di temi specialistici nella prospettiva di una valutazione complessiva del senso dell’idealismo di Husserl, mostrando la decisiva influenza dei primi sulla formulazione del secondo. Questo complesso ed articolato percorso si dipana lungo i quattro capitoli del volume, che dapprima ricostruiscono l’emergere della Zeitfrage nella filosofia husserliana (cap. 1), per poi indagare la struttura del flusso originario della temporalizzazione e la sua concretizzazione mediante la sintesi associativa (capp. 2-3) e, infine, trarre da queste analisi delle importanti conclusioni sullo statuto della fenomenologia e sulla sua stessa metodologia (cap. 4).
Il capitolo 1 (“L’irrompere del tempo e la fenomenologia trascendentale”) è di taglio prevalentemente storico-genetico e Nobili vi definisce le coordinate del proprio lavoro, illustrando il percorso filosofico di Husserl nel primo decennio del Novecento con particolare attenzione allo sviluppo intrecciato di trascendentalismo e riflessione sul tempo. Si dà ampio spazio alla ricognizione dei testi di Husserliana X e si mostra come le ricerche sulla temporalità acquisiscano sempre maggiore rilevanza, emancipandosi progressivamente dal paradigma del maestro Brentano anche grazie alla ricezione delle proposte teoriche di Stern (Präsenzzeit) e James (specious present). Perno dell’esposizione sono le Lezioni sul tempo (1905), che, rappresentando la prima formulazione autonoma della teoria fenomenologica del tempo, costituiscono l’embrione teorico che troverà sostanziale sviluppo ed approfondimento con le analisi dei decenni successivi. Le acquisizioni fenomenologiche implicate nelle Lezioni rendono intelligibili i presupposti che dischiudono a Husserl la possibilità della svolta idealistico-trascendentale immediatamente successiva. Tali acquisizioni sono sostanzialmente due: anzitutto, il superamento di una concezione puntuale dell’ora, favorito dall’introduzione di protensione e ritenzione, prelude ad un ripensamento complessivo in senso processuale della nozione di evidenza. D’altro canto, concepire il vissuto temporale come una totalità sintetica dotata di un’intenzionalità longitudinale non-simultanea e di una trasversale simultanea racchiude il nucleo della riformulazione in senso correlativo della nozione di costituzione. Questi passaggi consentono a Husserl di pervenire ad una riforma della riduzione, che, abbandonando la sua prima formulazione restrittiva ed immanentista, si fa pienamente trascendentale.
Il capitolo 2 (“La forma del tempo: il fondamento correlativo della costituzione”) è, insieme al successivo, il cuore analitico del volume. Vi viene anzitutto spiegato come la temporalità, in quanto forma della genesi, rappresenti l’«orizzonte contestuale» (p. 119) in cui si dispiega concretamente la costituzione e come la presa di coscienza di questo aspetto sia ciò che spinge Husserl a dare un indirizzo compiutamente genetico alla fenomenologia. A ciò si accompagna un approfondimento del livello di analisi, che dal piano dei vissuti si sposta a quello del fenomeno costitutivo originario (Urphänomen). L’autore, soffermandosi specialmente sui Manoscritti sul tempo di Bernau (1917-18), mostra come Husserl vi decostruisca la struttura del presente in favore di un intreccio multidimensionale di protensioni e ritenzioni, i cui caratteri sono stati debitamente complicati. In altri termini, il presente vivente va letto primariamente come una pulsazione di vita (Lebenspulse) costituente ricorsiva, in cui la presentazione intuitiva risulta essere un momento che emerge da una dinamica ben più ampia, definita nei termini di dialettica emergenziale-differenziale tra protensione (tensione verso la presentazione intuitiva) e ritenzione (de-presentazione). Infatti, si mostra come il flusso originario, attraverso l’auto-trascendimento estatico e la successiva riappropriazione di sé, sia responsabile tanto della costituzione dei singoli vissuti diretti ad oggetti trascendenti, quanto della propria, quindi di una forma minimale di autocoscienza preriflessiva. Infine, si suggerisce di leggere questa dialettica sia come ritmo intemporale, dal contrasto con il quale emerge la temporalità dei vissuti, che nei termini di una prospettivizzazione originaria dell’orizzonte manifestativo, in cui l’ora rappresenta l’apertura focale e protensione e ritenzione rispettivamente la sua dilatazione e il suo restringimento.
Nella convinzione che temporalità e associazione originarie si presuppongano e originino reciprocamente, con il capitolo 3 (“La materia del tempo: integrazione e concretizzazione del fondamento”) l’autore presenta un’articolata ricostruzione dei vari livelli costitutivi che integra i due aspetti. In particolare, troviamo un’ampia trattazione dell’alterità (ur)iletica, la cui auto-organizzazione strutturantesi nel tempo va considerata un’attività sintetica vera e propria, non egologica ma inserita nel processo di formazione dell’io, con cui perviene ad un “incontro prospettico”. In questo quadro si inserisce la delucidazione della nozione fenomenologica di inconscio, di cui si distingue un’accezione pre- e post-affettiva, delucidazione funzionale anche a chiarire il fenomeno della sedimentazione, cioè «la prosecuzione inconscia della ritenzione» (p. 239). Infatti, nel momento della presentazione intuitiva dell’oggetto esperito si ha anche il conferimento del senso oggettuale, ma mentre la forza affettiva della prima digrada fino a sparire, il secondo si sedimenta, implicitandosi. L’implicitazione del senso, quindi, lo rende una predatità sempre disponibile, cioè riattivabile come schema appercettivo nel corso di una nuova esperienza (trasduzione del senso): questa dinamica spiega anche come si formino le abitualità noetiche (facoltà) e le tipizzazioni noematiche proprie dell’esperienza concreta. Un simile processo, inoltre, ha natura ricorsiva, così che il senso subisce continuamente una traslazione e una retrotraslazione che ri-costituisce in ogni momento questa passività secondaria sedimentata. Questo resoconto integrato dell’esperienza ha due importanti conseguenze: anzitutto, permette di rimuovere l’astrazione fenomenologica che distingue tra strati costitutivi per mostrare come essi siano implicati l’uno dentro l’altro nell’esperienza effettiva, che, inoltre, grazie alla trasduzione del senso intersoggettivo si storicizza compiutamente. D’altra parte, sempre grazie al chiarimento del funzionamento di quest’ultima, si comprende come la coscienza concreta possa essere considerata la sineddoche del sistema fenomenologico, perché, data l’onnipervasività dell’implicitazione, essa riassume in sé l’intera vita costituente.
Il capitolo 4 (“La prospettiva del tempo: l’idealismo fenomenologico-trascendentale”), infine, trae le conseguenze generali di quanto visto nei precedenti. Nello specifico, il fenomeno dell’implicitazione del senso viene riconosciuto come tema generale della fenomenologia, perché, essendo coestensivo alla forma temporale, pervade tutta la vita costituente. È così che Husserl, dalla metà degli anni ’20 in poi, individua il compito del fenomenologo nell’autoesplicitazione (Selbstauslegung) sistematica, statica e genetica, della soggettività trascendentale. Ci si sofferma soprattutto sul suo carattere autoriferito, cioè sull’essere una forma di autoesperienza: l’idealismo fenomenologico, infatti, non è altro che l’atteggiamento naturale che attraverso la presa di coscienza (Besinnung) trascendentale raggiunge una radicale consapevolezza di sé. Nelle parole dell’autore, «la prospettiva fenomenologica è allora quella in cui quanto consegue dall’apertura dell’orizzonte manifestativo (l’Urphänomen) trova una sorta di chiusura prospettica; è una chiusura che coincide con quell’ultimo punto di vista in grado di ricomprendere l’articolazione della genesi intenzionale in tutti i suoi gradi di sviluppo, in tutta la sua portata, e di conferirle un proprio valore epistemico» (pp. 344-345). In tal senso, la soggettività a cui mira la fenomenologia è quella dell’universalità apriorica della correlazione, dell’onni-soggettività (Allsubjektivität), «una soggettività cioè compiutamente esplicitata, che collima con la totalità sistemica dei nessi che intessono la struttura intenzionale della realtà nel suo complesso» (p. 345). Col tardo progetto della Crisi delle scienze europee, infine, l’ideale della Selbstauslegung viene trasposto da un piano “ontogenetico” ad uno “filogenetico”, divenendo un programma intergenerazionale di «esplicitazione storica dell’intersoggettività trascendentale» (p. 376). L’idealismo husserliano, allora, ha essenzialmente bisogno di uno svolgimento temporale: lontano da qualsiasi pretesa di immediatezza, è una prassi del e nel tempo vivente nella prospettiva della sua più profonda autocomprensione e riappropriazione.
Quello di Nobili, dunque, è un lavoro davvero molto approfondito e di ampio respiro: ne emerge un’estrema padronanza della materia e dei materiali, spesso provenienti dal Nachlass, che permette di proporre una lettura interessante di snodi oscuri del pensiero husserliano avanzando convincenti proposte interpretative. Essendo possibile qui soltanto suggerire la profondità di questo lavoro, vorrei segnalare almeno due punti che meritano risalto. In primis, contro ogni superficiale lettura di Husserl Nobili confuta efficacemente l’idea che la soggettività trascendentale sia riducibile al polo dell’io. È proprio l’approfondimento della concezione del tempo che promuove in maniera convincente la de-assolutizzazione sistematica dell’ego a favore dell’a priori della correlazione: polo soggettivo ed oggettivo si costituiscono in parallelo e il primo ha sul secondo solo un privilegio euristico, ma non costitutivo. La concezione matura dell’io (e della monade), inoltre, presuppone il chiarimento del presente vivente, perché, lungi dall’essere qualcosa di sostanziale, l’io è essenzialmente la centratura prospettica della vita intenzionale, l’“ora” che dà orientamento temporale e accentuazione qualitativa al flusso.
In secondo luogo, va menzionata l’interessante interpretazione della fenomenologia costruttiva nei termini di metavariazione. A livello complessivo, infatti, la fenomenologia ha dapprima un movimento regressivo-decostruttivo (Abbau-Analyse), a cui ne segue uno ricostruttivo (Aufbau) in cui, tolta l’astrazione stratigrafica, si dà un resoconto concreto dell’esperienza effettiva. Il primo momento, riduzione de-sintetizzante diretta al livello più originario della manifestazione, presenta un grado di evidenza intuitiva progressivamente inferiore, sino ad essere nullo: qui la fenomenologia deve procedere necessariamente in maniera costruttiva, cioè per finzioni idealizzanti. Nobili individua appunto nella metavariazione la leva metodica in grado di supplire al deficit intuitivo. Se nella variazione eidetica vengono fatti variare tipi e categorie oggettuali, nella metavariazione variano intere strategie riduttive, mirando ad una dimostrazione per via negativa dell’Urphänomen: in altri termini, la metavariazione sarebbe una forma di presentazione abduttiva del fenomeno originario. L’autore può così dimostrare come riduzione decostruttiva e metavariazione siano le componenti essenziali della fenomenologia regressiva.
Il libro di Nobili è certamente di notevole importanza per quanto riguarda gli studi husserliani, ma ha molti motivi di interesse anche per il lettore non specialista. Penso in particolar modo alla nozione di trasvalutazione, che apre, non a caso, l’introduzione al lavoro e trasporta il discorso su di un piano metafilosofico. Se nel corso della Modernità la filosofia – fenomenologica e non solo – si è scoperta col tempo in un rapporto di esplicitazione genetica e, quindi, intrinsecamente decostruttiva, essa si trova allora ad un bivio: se farsi, cioè, distruzione della storia o sua trasvalutazione. Come si comprende leggendo il volume, la trasvalutazione filosofica della tradizione non è altro che la ricorsività naturale dell’esperienza storica resa intimamente trasformativa attraverso un pensiero radicale. Dunque, sostenendo che l’idealismo fenomenologico è una prassi trasvalutativa, Nobili indica con forza una strada diversa da quella percorsa da tanti eredi post-moderni di Husserl e la rinnovata possibilità di un pensiero forte, di una filosofia come scienza ed esistenza rigorosa che, senza abdicare al compito di realizzare compiutamente la ragione, assuma pienamente su di sé la responsabilità del tempo costituente per creare una dimensione etico-teoretica nuova.

(21 dicembre 2022)

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