martedì , 19 marzo 2024
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68. Recensione a: Thomas Fuchs, Ecology of the Brain: The Phenomenology and Biology of the Embodied Mind, Oxford University Press, Oxford 2017, pp. 370. (Veronica Iubei)


Se le neuroscienze hanno da sempre circumnavigato capziosamente l’intricata questione del rapporto mente-corpo-ambiente, approdando spesso a conclusioni di carattere riduzionista, lo stesso di certo non si può affermare leggendo l’innovativa indagine di matrice filosofica intrapresa dallo psichiatra e filosofo di Heidelberg, Thomas Fuchs.
Nel suo ultimo volume Ecologia del cervello. Fenomenologia e biologia della mente incarnata, Fuchs lancia una garbata ma solida provocazione alle correnti teorie sul cervello umano: non l’orchestratore dell’attività mentale, non il contenitore dell’io o della coscienza, ma più semplicemente un organo di mediazione tra l’ambiente e il corpo inteso come unità percettiva e recettiva. Infatti, secondo il modello cognitivista, il cervello sarebbe deputato all’assemblaggio di informazioni incapsulate in meccanismi computazionali a sé stanti, totalmente disconnesso da processi corporei e ambientali. Ne consegue, dunque, che la coscienza figuri come un mero correlato neurale, non spiegabile altrimenti se non ricorrendo ai movimenti sinaptici dei neuroni (indotti da stimolazioni esterne) che le tecniche di brain imaging hanno portato alla luce negli ultimi venti anni. Tuttavia, come osserva Fuchs, non è il cervello che prova sensazioni o ha ricordi con determinate qualità affettive, bensì l’essere vivente concepito come totalità olistica (p. 51). La coscienza non è contenuta nella testa; è un fenomeno che implica l’intero corpo vissuto, e come tale, non è riducibile a presunti sistemi algebrici che costellano il nostro cervello. In fondo, cos’è la neurobiologia se non una forma altamente specializzata di pratica comune derivante dal mondo della vita (Husserl docet)? Occorre sempre tenere a mente che prima di tutti i costrutti, sistemi e meccanismi creati dall’umanità c’è una conoscenza naturale, pre-scientifica, che attinge pre-riflessivamente dal mondo della vita nella sua silente autenticità, risuona con esso, risponde alle sue sollecitazioni senza i filtri del Cogito. Il primo capitolo si conclude proprio proclamando la disfatta del discorso scientifico nel suo goffo tentativo di fornire i lineamenti teorici di una scienza del mondo della vita.
Alla luce di questa prima naturale evidenza, il corpo umano si rivela come un potente “sounding-board” delle esperienze interrelazionali, e non, come vorrebbe il riduzionismo, il portatore fisiologico del cervello. Le emozioni, gli affetti, le disposizioni e i pensieri stessi appartengono in primis ad una zona di confine tra la carne (flesh, nell’accezione merleau-pontyana; cfr. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione) e il mondo della vita, alla reazione che avviene nell’incontro immediato tra soggettività pre-riflessiva e ambiente. I capitoli II e III si occupano esattamente di questo: l’autore, con sottile insistenza, sviluppa infatti una concezione dell’organismo vivente che chiama “ecologica”, richiamando nella parola stessa quell’aspetto intersoggettivo che la sua radice (dal greco oikos, ‘casa’) esprime chiaramente. L’aspetto duale del corpo è esemplificato da due termini di matrice husserliana: il Leib, ovvero il corpo come soggetto, che percepisce, esperisce ed è agito dal mondo della vita, e il Körper, o corpo fisico, cioè l’insieme delle strutture anatomiche e dei processi fisiologici studiati, ad esempio, dalla scienza medica (cfr. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica). È proprio l’incontro con l’altro, l’altro-da-sé, che rivela la natura duale del corpo, secondo l’autore. L’altro ci mette di fronte ad una situazione affettiva, ad un contesto atmosferico, a uno spazio interattivo che produce/induce una risposta immediata da parte nostra, un’espressività che non ha nulla a che vedere con le rappresentazioni mentali ipotizzate dalla “Theory of Mind” (cfr. A.I. Goldman, Theory of Mind, in The Oxford Handbook of Philosophy and Cognitive Sciences, ed. by E. Margolis, R. Samuels, S.P. Stich). Allo stesso tempo, il corpo come oggetto fisico può esistere solo in quanto percepito da un osservatore, o in terza persona. Per un verso o per l’altro, l’alterità è necessaria per l’autodeterminazione e per la costruzione del tessuto affettivo.
Ritornando al concetto più generico di organismo vivente, in Ecologia del cervello si afferma qualcosa di straordinariamente pregnante a tal proposito. Che la vita sia legata ad un interscambio tra corpo vivente e ambiente circostante è ormai assodato, ma che il Sé consista, essenzialmente, nella stessa relazione processuale tra questi due poli è invece qualcosa di fortemente rivoluzionario. Fuchs afferma che, alla luce di questa proposta, la dicotomia tra cognizione e affettività vigente nelle scienze cognitive e in psicologia non è più sostenibile (p. 91); infatti, nel momento in cui l’organismo vivente abita attivamente il suo ambiente (Umwelt), facendone esperienza, al tempo stesso fornisce anche la sua risposta affettiva. La soggettività umana si esprime attraverso un processo circolare relativamente semplice, che attraversa i momenti principali della living life e dell’experiencing life, ricezione e attività.
E per quanto riguarda il cervello? Questo potente e complesso organo fungerebbe da mediatore tra i cicli funzionali dell’organismo, il primo che interscambia con l’ambiente, il secondo con le sue singole parti. Con uno sforzo tutto fenomenologico, dobbiamo congedare l’immagine cognitivista del cervello come creatore della vita interiore del soggetto. In realtà, occorre abbandonare anche la primitiva distinzione esterno/interno, che ci allontana vertiginosamente dall’afferrare il rapporto orizzontale ed integrativo tra corpo vissuto, soggettività ed ambiente.
Le ben note nozioni di “informazione” e “rappresentazione”, erette dalle neuroscienze a capisaldi esplicativi della cognizione umana, verrebbero così rimpiazzate dalla nozione alternativa e onnicomprensiva di risonanza, coniata da Fuchs nell’ottica di un sistema dinamico, circolare e orizzontale, che costituisce il soggetto con il suo corpo vissuto e l’ambiente in una relazione di continuo interscambio affettivo. L’esperienza, dunque, viene incorporata attraverso le strutture mnemoniche del cervello che si trasformano, si evolvono e cambiano funzione costantemente. Il cervello, contro il pensiero comune, è l’organo più plastico del corpo umano, con microstrutture che si modificano dopo ogni interazione ambientale. L’ambiente plasma le strutture neuronali, e queste, a loro volta, influiscono sul futuro processing dello stimolo (p. 139). L’ipotesi, più volte accennata dall’autore, dunque ruota attorno alla nuova concezione del cervello come organo di risonanza di oscillazioni ritmiche tra organismo e ambiente, su cui esso stabilisce una coerenza processuale. C’è da dire che, nonostante la ben riuscita opera di ‘detronizzazione’, il lettore di orientamento cognitivista potrebbe ancora avere l’impressione di cogliere accenni di cartesianesimo cerebrale, interpretando tendenziosamente l’ipotesi del cervello come organo mediatore tra ambiente e corpo; tuttavia, il concetto di immediata mediatezza spazza via ogni dubbio, in quanto lascia intendere la posizione assolutamente decentralizzata del cervello rispetto al flusso della vita, indicando invece un’operatività spontanea e omogenea di stimoli sensoriali, motori, modalità affettive e richiami ambientali. L’approccio ecologico alla questione del cervello umano riformula decisamente il paradigma dello sviluppo sociale e culturale dell’individuo, con particolare focus alla fase prematura dell’infanzia. Negli ultimi capitoli, risulterà chiaro quanto siano le dimensioni pre-cognitive dell’inter-corporeità e dell’inter-affettività a modellare le basi per l’acquisizione di abitudini, predisposizioni e abilità linguistiche, piuttosto che presunti moduli o sistemi mentali di ordine cognitivo. Senza parlare poi della rivoluzione che si avvierebbe nel trattamento dei disturbi psichiatrici; il paradigma del cervello come organo relazionale fornirebbe le basi per un approccio olistico alla dimensione patologica dell’esperienza umana, includendo soggettività e intersoggettività come istanze cruciali per la diagnosi, l’eziologia e il trattamento.

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