martedì , 19 marzo 2024
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37. Recensione a: Craig Callender (ed. by), The Oxford Handbook of Philosophy of Time, Oxford University Press Oxford 2011, pp. XIV-689. (Alberto G. Biuso)

The Oxford Handbook of PHILOSOPHY OF TIMEThe Oxford Handbook of PHILOSOPHY OF TIMEThe Oxford Handbook of PHILOSOPHY OF TIME«We are temporal beings» (p. 460), scrive Jenann Ismael all’inizio del suo contributo a questo denso e ricco Oxford Handbook of Philosophy of Time. Non c’è alcun dubbio sul fatto che siamo dispositivi temporali, semantici e desideranti. Tre determinazioni che sono una, come unitaria e molteplice è la struttura della temporalità quale «gewesend-gegenwärtigende Zukunft» (Heidegger, Sein und Zeit, § 65).
Se il tempo «is one of the last great mysteries» (Callender, p. 1) è perché la questione del tempo è anche questione del senso dell’esistenza umana e del significato dell’intera natura. Il tempo è infatti «fundamental concept in all physical theories. Because it enters the dynamical laws, changing these laws is inextricably linked with a change in the notion of time» (Kiefer, p. 663). Nella sua completa vicinanza e insieme enigmatica distanza da noi, il tempo è una molteplicità i cui estremi appaiono lontani ma che bisogna fare di tutto per avvicinare tra loro. E dunque «the reconciliation of time as conceived in physics with time as encountered in experience is the central problem in the metaphysics of time» (Ismael, p. 480).
Ogni tentativo di pervenire a tale conciliazione deve partire dall’analisi del tempo vissuto, del divenire, dell’irreversibilità. Mutamento e movimento costituiscono infatti la regola, non l’eccezione. Anche per questo la scienza fondamentale del tempo non è la meccanica ma la termodinamica, la quale spiega la miriade di processi irreversibili che intessono di sé enti ed eventi. La semplicità del tempo della fisica – privo di direzione e senza una intrinseca differenza tra passato e futuro – è soltanto una parte del più vasto tempo dei fenomeni cosmici e interiori, nei quali «time is intrinsically directed and in continuous flux» (Ismael, p. 460). Non soltanto, infatti, «the asymmetry between past and future is embodied in the differences between memory and expectation» (Ismael, p. 472) ma essa è evidente anche nelle cause che precedono sempre gli effetti, nel fatto che ricordiamo il passato ma non il futuro, nell’apertura del futuro rispetto alla chiusura del passato, nella direzione dei sistemi da una condizione di non equilibrio a una di equilibrio (e mai l’inverso), e persino nei tentativi di conciliare fisica relativistica e teoria dei quanti: «In the semiclassical limit, where a time parameter t appears, this entails the Second Law of thermodynamics. Both the familiar time and its arrow can thus be understood from quantum gravity, which itself is fundamentally timeless» (Kiefer, pp. 677-678).
Questo aggiornatissimo manuale cerca di spaziare nei più diversi ambiti della temporalità. La prima parte è dedicata alla metafisica del tempo, la seconda alla sua direzione, la terza ha come titolo “Time, Ethics, and Experience”, la quarta affronta i problemi del tempo nella fisica classica e relativistica, la quinta e ultima parte analizza il tempo nel mondo dei quanti. Al di là di tali distinzioni tematiche si tratta di un libro profondamente unitario, che ripete e ripercorre sempre gli stessi temi in chiavi diverse ma convergenti.
Vi si discute, naturalmente, delle tesi di John McTaggart, con il quale ha di fatto inizio la filosofia analitica del tempo e la sua importante distinzione tra ‘determinazioni A’ e ‘relazioni B’: «The ‘determinations’ (his [di McTaggart] word), or properties, being past, being present, and being future are generally called the ‘A-properties’. The relations of being earlier than, and being simultaneous with, are the ‘B-relations’» (Zimmermann, p. 163). Da qui sono scaturite anche posizioni come l’eternalismo – per il quale passato, presente e futuro esistono tutti e tre –; il presentismo, che ritiene reale solo il presente; il possibilismo, che ammette l’esistenza del presente e del passato ma non quella del futuro. Due delle più importanti posizioni analitiche sul tempo – endurantismo e perdurantismo – scaturiscono sempre da McTaggart. «Three-dimensionalism (3Dism), or endurantism, and four-dimensionalism (4Dism), or perdurantist» si differenziano per il fatto che «perdurantists typically insist, while endurantists typically deny, that objects have temporal as well as spatial parts» (Balashov, p. 14). Tale differenza si spiega anche con il fatto che «both presentist and possibilists embrace A-series time as something real, objective, and not merely part of subjective temporal experience» (Hoefer, p. 71).
In realtà, la struttura del mondo è spaziotemporale, unitaria e insieme plurale. L’essere corporeo e mentale delle entità coscienti è costituito da stati spaziali e da condizioni temporali, inseparabili tra loro. Il corpo umano è una struttura nella quale i più profondi «temporal processes involved in bodily systems» (Gallagher, p. 421) e in cui la propriocezione dell’organismo nello spazio ha la stessa struttura di ritenzione e protenzione che Husserl individua nel tempo: «The same retentional-protentional structure can act as the organizing principle for proprioceptive processes that give rise to a phenomenal sense of movement and agency» (Gallagher, p. 424). La coordinazione mano-bocca, ad esempio, mostra che sin dai primi giorni di vita ogni movimento corporeo possiede una intrinseca temporalità, senza la quale non sarebbe possibile entrare in contatto con il mondo del quale si è parte.
Se dunque è senz’altro vero che «since physics represents our best efforts to describe the fundamental nature of that world, metaphysicians cannot ignore advances in physics if we are serious about this project» (Zimmermann, p. 238), è altrettanto vero che neppure fisici, chimici, astronomi, biologi possono conseguire risultati che non comportino da subito delle opzioni metafisiche, esplicite o no che siano.

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