venerdì , 19 aprile 2024
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1. Recensione a: D. Hofstadter e E. Sander, L’analogie. Cœur de la pensée, Odile Jacob, Paris, 2013, pp. 687 (Luca M. Possati)

Il volume di Douglas Hofstadter e Emmanuel Sander L’analogie. Cœur de la pensée rappresenta, nell’attuale panorama editoriale, il lavoro più completo e avanzato sulla questione dell’analogia. La tesi centrale è che l’analogia costituisce la trama profonda di qualsiasi attività mentale, per cui «l’essere umano pensa e si sviluppa attraverso estensioni categoriali e attraverso slittamenti categoriali» (p. 315) e questi due fenomeni consistono principalmente nella produzione continua, a livello conscio e/o inconscio, di analogie. Come scrivono gli autori, «l’obiettivo principale di quest’opera è quello di rendere all’analogia il dovuto – detto altrimenti, di presentare la nostra facoltà umana di analogizzazione come la radice di tutti i nostri concetti, come il meccanismo della loro evocazione selettiva e, di conseguenza, come il motore stesso del pensiero» (p. 9).
Alla base dell’atto cognitivo non sta la classificazione, la mise en boîte, il modello statico dell’ordinamento tassonomico, bensì la categorizzazione, la fluidità delle analogie. L’intento degli autori è quello di dare una spiegazione estremamente dinamica dei processi mentali, senza tuttavia rinunciare alla sistematicità e all’ordinarietà dell’esperienza. Tale scelta emerge già nel Prologo dell’opera. L’iniziale riflessione sul linguaggio (e sul fenomeno particolare dello zeugma: figura della retorica classica nella quale sono presentati in un’unica frase molteplici sensi di un termine, che però compare una sola volta) conduce alla determinazione di tre concetti chiave: (a) la categoria, o categorizzazione, che indica «una struttura mentale che evolve nel corso del tempo, a volte lentamente, a volte rapidamente, che contiene informazioni in una forma organizzata e che permette di accedervi; l’attività di categorizzazione consiste in un’associazione provvisoria e graduale di una certa entità o situazione con una categoria esistente già prima nella mente di una persona» (p. 21), e ciò avviene principalmente (ma non necessariamente) attraverso il linguaggio – dunque la categoria non è soltanto una «scatola» vuota nella quale riporre gli oggetti e i loro concetti; (b) l’analogia, che è intesa come il cuore della categorizzazione in quanto «percezione implicita dello stesso» (p. 41) – a tal proposito, gli autori contestano le interpretazioni tradizionali, logiche dell’analogia; (c) l’adattamento, per cui l’atto cognitivo è sempre la risposta a una nuova situazione ambientale sulla base di categorizzazioni passate, e l’analogia è dunque quel che permette di adattare tali categorizzazioni al presente, all’imprevisto, al nuovo. Questo meccanismo vale per tutti i livelli dell’esperienza, anche per quelli più microscopici.
I primi tre capitoli dell’opera difendono l’idea della natura categoriale-analogica dei nostri concetti facendo ricorso a esempi linguistici. Il primo capitolo concerne le categorie descritte da un singolo termine, non necessariamente un nome. Si mostra come lo spazio concettuale sia una dimensione pluridimensionale nella quale si situano i concetti quali punti distinti, al contempo sfuocati ma progressivamente chiarificabili ed estendibili mediante analogie. Un esempio perfetto è il concetto di madre e il passaggio nel bambino e nell’uomo dalla madre – la «mamma» – alla madre genitrice e protettrice fino alla madre Patria. Il capitolo secondo prosegue su questa linea allargando l’indagine alle categorie identificate da espressioni più lunghe come i proverbi, le favole, gli acronimi, le frasi idiomatiche, o quelle più astratte come «in effetti», «del tutto», «detto questo». Il terzo capitolo affronta invece le analogie invisibili, per le quali non esiste un corrispondente linguistico: sono categorie costruite ad hoc, sul momento, per scopi eminentemente pratici, analogie banali e ricorrenti, ma anche molto utili.
I capitoli quarto, quinto e sesto aprono una nuova fase del lavoro nella quale non ci si interroga più sulle categorie e sulle analogie come tali, bensì sul loro cambiamento, l’extension catégorielle par analogie (p. 313). La flessibilità e la creatività cognitiva umana dipendono dalla capacità di variare i livelli di astrazione della categorizzazione, o di «saltare» da una categoria all’altra. La categorizzazione è ambigua, fluida, scappa da tutte le parti e si moltiplica; categorizzare vuol dire insieme distinguere – per poter riconoscere le entità che fanno parte di un contesto, di un gruppo – e associare, collegare una categoria a un’altra o a più altre, e questo secondo diversi gradi di somiglianza. L’esempio più interessante è quello dell’invenzione del mouse per i computer, un’autentica rivoluzione cognitiva che ha trasformato il nostro modo di agire e di vivere i rapporti tra il materiale e l’immateriale: «Il mouse è l’analogo di un arto biologico riservato all’azione sull’intangibile […] gli oggetti immateriali diventano supporti di azione allo stesso titolo di quelli materiali nell’ambiente quotidiano» (p. 311).
L’esempio del mouse apre la strada verso un terreno ben più complesso, quello delle analogie che «ci manipolano”, che guidano e condizionano il nostro sguardo: l’analogie dicte sa loi (p. 317). L’analisi di queste analogie si dispiega a partire dagli errori commessi nella lingua parlata (ad es. la fusione dei nomi, i difetti di pronuncia e di dizione, le incomprensioni), anche da parte di persone madrelingua. È il segno che la categorizzazione supera i limiti del linguaggio, che dunque ha luogo uno scontro o una competizione permanente tra due o più categorie. Gli errori linguistici «rivelano l’onnipresenza della categorizzazione nel pensiero» (p. 322) e, di conseguenza, la presenza di milioni di analogie latenti nelle profondità del cervello, pronte a lasciarsi percepire attraverso slittamenti tra categorie. Ciò tuttavia pone un problema enorme: come giudicare l’analogia? In quale misura si può dire che un’analogia è più o meno sostenibile di un’altra? In quale misura un’analogia può costituire la base di un ragionamento corretto? Alla constatazione della debolezza logica dell’analogia risponde la convinzione per cui «le certezze non provengono dalla concatenazione di regole formali. Infatti, le conclusioni che derivano da tali regole hanno la stessa tendenza a sembrare artificiali» (p. 377). La necessità implicata dalle categorizzazioni è ben diversa da quella logica. «Le analogie possono […] prendere le decisioni al nostro posto» (ibid.), portandoci sulla buona o sulla cattiva strada. Nondimeno il confronto filosofico tra psicologia e logica – così come il ruolo che in entrambe gioca l’analogia – non è mai affrontato di petto dagli autori. E questa ci sembra la vera questione che nel libro resta aperta.
Il capitolo sesto cambia nuovamente registro e prende in considerazione le analogie che noi «manipoliamo», cioè quelle analogie che costruiamo intenzionalmente in determinate situazioni. È il caso delle analogie caricaturali, che costruiamo in maniera del tutto artificiale e paradossale per suscitare una reazione di stupore molto forte, e questo al fine di condividere una forma di condanna o per dare una spiegazione molto chiara o per coinvolgere il nostro interlocutore, ecc. A questo contesto appartengono le analogie sulle quali spesso si fondano le decisioni pratiche e politiche: le analogie rispetto a situazioni precedenti. Cerchiamo analogie – molto superficiali il più delle volte – con situazioni precedenti per giustificare una certa condotta. «In sintesi, l’analogia è spaventosamente efficace proprio perché l’apparenza è un buon indizio dell’essenza; è la ragione per cui affidarsi alla superficie non è una strategia perdente», anche se «bisogna essere in grado di separare, tra le molteplici superfici che ci offre una situazione, il grano dalla zizzania» (p. 417).
I due capitoli finali, il settimo e l’ottavo, esplorano il terreno dell’uso scientifico delle analogie. La tesi è che alla base delle più elementari forme di comprensione nei neonati e delle maggiori scoperte scientifiche della storia umana vi sono processi analogici identici. Questa tesi è sviluppata seguendo dapprima un sentiero pedagogico: esiste un livello di analogizzazione molto semplice e immediato, les analogies naïves, ed è grazie ad esso che i concetti scientifici più elementari, quelli appresi sui banchi di scuola durante le lezioni di matematica e fisica, sono recepiti, perché «gli allievi fanno inconsciamente delle analogie con eventi o con nozioni semplici e familiari; la loro acquisizione di nuovi concetti è guidata da queste analogie» (p. 469). Appaiono allora molto stimolanti le analisi con cui gli autori dimostrano, ad esempio, come il segno di equivalenza = nasca da un’analogia semplice (l’analogie processus-produit), che non scompare mai. La scuola non mette in discussione le analogie semplici, bensì il loro contesto di applicazione. «Tale effetto è d’altronde benefico il più delle volte, poiché far scomparire l’analogia semplice è in generale svantaggioso» (ibid.). Ne consegue che apprendere qualcosa non sarà mai semplicemente assimilare una struttura formale, ma «costruire nuove categorie e affinare categorie già stabilite» (p. 470).
Da tutto ciò viene alla luce un concetto di intelligenza molto preciso. L’intelligenza è la capacità di andare all’essenziale, di cogliere ciò che conta in una situazione data, «rapidamente e in maniera affidabile» (p. 157). Chi o che cosa stabilisce l’essenziale in una situazione? L’analogia, è di nuovo lei a stabilirlo. L’intelligenza sarà dunque la capacità di stabilire analogie forti e fruttuose tra una situazione sconosciuta e le precedenti già vissute: l’essenziale in una situazione è l’insieme di aspetti che ci consentono di collegarla ad altre, organizzando meglio la nostra conoscenza. Ne consegue che l’analogia e la logica si trovano sullo stesso livello: il ragionamento formale si fonda su analogie sempre più complesse, e che rinviano in ultimo luogo alle analogies naïves e alle catégories familières. «L’analogia serve a comprendere le situazioni e a rappresentarsi le nozioni, e questo a tutti i livelli, per il debuttante più ignorante così come per l’esperto più agguerrito. Quel che distingue l’uno dall’altro non è il modo di pensare […] ma le differenti categorie sulle quali si fondano per pensare, e inoltre la maniera in cui queste categorie sono organizzate per l’uno e per l’altro» (p. 474). Ne deriva che quando la situazione, nella sua novità assoluta, arriva a mettere in questione l’analogia familiare, da ciò emerge un conflitto cognitivo che si risolve con la costituzione di una nuova analogia.
L’ottavo capitolo affronta il punto più delicato e affascinante dell’intera impresa di Hofstadter e Sander: le analogie che stanno alla base delle scoperte di Albert Einstein. L’approdo al teorico della relatività è però mediato da due tesi forti, che non possono passare sotto silenzio: i) la matematica è analogica, si serve dell’analogia – soprattutto nella definizione dei numeri, ma in generale nella costituzione degli oggetti astratti: una lunga ricognizione della storia della matematica conferma che la logica si fonda sull’analogia (su tutte le forme di analogie, dalle più triviali alle più raffinate); ii) la fisica non è una disciplina assiomatica, ma anch’essa analogica. In Einstein l’analogia ha un ruolo tutto particolare perché rappresenta il fulcro dell’invenzione scientifica. L’ultima parte del capitolo ottavo del libro ripercorre con grande attenzione il lavoro del fisico tedesco, sostenendo che a produrre la rivoluzione della relatività ristretta sia stato uno slittamento analogico. «Avendo portato il suo sguardo singolare sul principio chiamato oggi “relatività galileiana”, Einstein lo ha esteso, nella maniera più innocente possibile, dalla sola meccanica all’unione della meccanica e dell’elettromagnetismo» (p. 561); l’intuizione è stata quella di «estendere il principio galileano dalla sola meccanica fino a includere l’elettromagnetismo, poiché i due sotto-domini della fisica sono analoghi» (p. 563). È così ricostruita la genesi della famosa equazione E = mc2 dal 1905 al 1907, e del suo fondamento: l’analogia tra massa ed energia. «Una corrispondenza naturale esiste tra l’energia statica e la massa normale (entrambe indipendenti dal movimento), così come tra l’energia dinamica e la massa estranea (entrambe legate al movimento). Queste corrispondenze formano il cuore dell’analogia nascente tra la massa e l’energia” (p. 583). La particolarità delle analogie di Einstein è quella per cui esse rivelano «non soltanto delle somiglianze tra fenomeni diversi, ma soprattutto la loro unità profonda» (p. 584).
Hofstadter e Sander ci dimostrano dunque che il potere dell’analogia supera i confini delle discipline e delle abitudini mentali più radicate, scuotendo alla radice il complesso delle nostre certezze. La vita stessa di Einstein lo dimostra, e le sue analogie che «hanno fatto tremare la Terra» (p. 604).

(Luca M. Possati)