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134. Recensione a: Alberto Giovanni Biuso, Disvelamento. Nella luce di un virus, Algra Editore, Viagrande 2022, pp. 144. (Stefano Piazzese)

Il libro di Alberto Giovanni Biuso risponde in modo inequivocabile alla domanda di Agamben “a che punto siamo?”, portando alle estreme conseguenze i temi sviluppati nel saggio del 2020 Vita e salute. Il paradigma di Don Abbondio (in A. Kaveh et al., Krisis. Corpi, confino e conflitto, Catartica Edizioni, Sassari 2020). Il pensiero dell’autore manifesta qui tutta la ricchezza della dimensione ermeneutica e della tensione filosofica che il presente reclama con forza. Nel pensiero di Biuso ermeneutica non è mai un vago concetto con cui sfumare frasi o discorsi, bensì un compito a cui il filosofo è costantemente chiamato, un’esigenza che la necessità stessa del presente invoca. Per questa ragione, Disvelamento. Nella luce di un virus è un tentativo rigoroso di comprendere quanto accade dai primi mesi del 2020, ovvero dall’avvento della temperie sanitaria e politica che va sotto il nome di Covid-19.
La prospettiva ermeneutica da cui l’autore guarda il presente è plurale, mai univoca; infatti, come può una sola dimensione, e/o indirizzo del sapere, avere il primato ermeneutico su un evento costituito da una molteplicità di dimensioni?
Il rigore dello sguardo filosofico è dato sempre dal metodo – non si dà filosofia senza di esso –, che Biuso delinea nel seguente modo: «si tratta di capire la complessità di ciò che accade e di affrontarlo con coraggio e lucidità, sine ira et studio, con equilibrio esistenziale e scientifico» (p. 13). L’onestà intellettuale dello studioso, nonché la sua missione all’interno della comunità, consiste, in primo luogo, nel fornire delle chiavi di lettura valide per interpretare gli enti, gli eventi e i processi che del mondo costituiscono l’incessante accadere. La validità delle chiavi di lettura fornite da Biuso risiede non solo nella formulazione degli interrogativi fondamentali che la pandemia, come evento globale, ha fatto riemergere, ma pure nelle risposte storicamente fondate che rafforzano la tesi principale del libro, così enunciata da Davide Miccione: «l’epidemia e il suo uso politico hanno messo in luce le viltà e le debolezze di interi settori, le fragilità di quella democrazia che diamo per acquisita e, soprattutto, la miseria teoretica e morale di coloro che dovrebbero analizzare e spiegare il mondo» (sovraccoperta).
Analisi e spiegazione del mondo non possono prescindere dalla consapevolezza che un evento rimanda sempre a un groviglio di cause, a una pluralità di dimensioni, a una molteplicità di aspetti. La disonestà intellettuale, in questo caso, consiste nell’appiattire il dibattito sulla pandemia alla sua dimensione sanitaria. Quale pericolo comporta questa univocità ermeneutica? Non è imbarazzante nel Ventunesimo secolo, dati gli orizzonti solcati da ogni sapere, adottare un mono-prospettivismo la cui pretesa di validità si fonda su una scala gerarchica secondo cui a dominare sarebbe la dimensione sanitaria? Nessun primato ermeneutico può essere legittimato, giustificato e rafforzato dallo studioso che opera con onestà.
La dimensione politica della pandemia, aspetto sottovalutato, o spesso subordinato agli altri, viene assunto dallo sguardo di Biuso con una centralità e necessità che fanno emergere il volto più devastante tanto della società quanto del singolo. Cogenza teoretica che alla luce di molti dati pone come necessaria la domanda: cos’è la vita? La gestione politica ha messo in discussione i tre pilatri che definiscono questo sostantivo: movimento, scoperta, autonomia (p. 29). Il paternalismo dell’autorità ha manifestato varie e diverse forme di negazionismo che conducono, per necessaria conseguenza, alla conclusione che la pandemia da Covid-19 «non è soltanto biologia. È anche politica, economia, spesa pubblica» (p. 13).
Biuso invita ad avere uno sguardo ampio e comprendente, dunque, la complessità dell’evento in questione, poiché ogni singolo aspetto isolato non è sufficiente a coglierne i vasti connotati sociali, storici, individuali. Difatti, prendendo in considerazione l’aspetto economico, l’autore afferma che «oltre l’economia, contano infatti i simboli. Il fondamento economico da solo non basta a comprendere quanto si muove nei labirinti delle vite individuali e collettive. Una verità che le multinazionali hanno ben presente e la cui comprensione le aiuta a moltiplicare influenza e profitti» (p. 87).
L’universo simbolico umano si è viepiù approssimato all’egemonia simbolico-semantica dell’obbedienza. Penetrare teoreticamente questo aspetto vuol dire assumere ed esplicare l’impegno per l’emancipazione (p. 88), compito che non si ferma mai alla comprensione e/o trasformazione delle strutture economiche; in quanto comprende anche il tentativo di cogliere gli elementi simbolici dell’esistenza umana che in questa vicenda storica sono stati completamente assorbiti dal potere autoritario, e messi al servizio di una propaganda terrorizzante che ha negato persino la consolazione nel morire. Ecco perché l’esistenza umana risulta essere incompatibile con l’obbligo della separazione (p. 90): nella sua sostanza la vita è contatto incessante, immersione totale nell’animalità che pulsa e nei luoghi in cui gli eventi si dispiegano, prendono forma e si sviluppano.
Tra i diversi filosofi citati, un particolare posto spetta a Nietzsche, a cui è dedicato il quindicesimo capitolo. In che modo il filosofo di Röcken può aiutarci a comprendere la pandemia? Biuso ricorre al cosiddetto metodo genealogico per evidenziare «ciò che sempre sta e opera sotto le forme, lo si sappia o no» (p. 113). Se l’esistenza si concretizza sempre secondo un dispositivo analogico che vive nella e della diversità, del mutamento, di sfumature, essa, allora, è qualcosa che supera il suo stesso concetto poiché rimanda sempre all’inesprimibilità indicante l’enigmaticità della vita, i suoi insondabili misteri. Nietzsche ricorda l’inscindibile legame greco tra bios e zoé che l’epidemia sembra aver spezzato, allorquando si è politicamente posta la necessità di conservare e proteggere esclusivamente il bios. Il decisionismo politico, in nome dell’emergenza sanitaria, ha minato la costitutività della metriotes che, come insegnano i Greci, è la condizione primaria della vita sociale.
Il prospettivismo gnoseologico delle verità (dove verità è il vagare e il moltiplicarsi delle informazioni) è, secondo Biuso, il dispositivo interpretativo che, portato alle estreme conseguenze, ha condotto a una notte ermeneutico-sociale (p. 116), dove predominano la dismisura e il disprezzo verso ogni forma di limite. L’antidoto nietzscheano a questa deriva nichilistica risiede nel celebre invito che il filosofo rivolge agli umani e che Biuso ripropone: «Diventa necessario! Diventa limpido! Diventa bello! Diventa sano!» (cit. a p. 177). Accogliere la morte, accogliere e benedire la finitudine, vuol dire abitare nel modo più autentico la struttura temporale che l’uomo è: solo se avviene ciò la filosofia può «occorrere in ogni luogo e non soltanto negli spazi tecnici a essa dedicati poiché – come il silenzio e la complicità di molti professori e intellettuali confermano ogni giorno – nulla garantisce che dove si dovrebbe praticare l’esercizio del pensiero, esso effettivamente accada» (p. 118). Cosa vuol dire, allora, filosofare se non dimorare nelle lacerazioni del presente per coglierne luci e ombre, quelle luci che hanno la forza di dis-velare la verità degli eventi?
Al centro dell’accadere umano vi è sempre il linguaggio; questione molto cara alla teoresi di Biuso, e sulla quale il filosofo pone molta attenzione: il linguaggio quando viene strutturato, plasmato e adattato ideologicamente può divenire un mezzo avente in sé la potenza di infettare il corpo collettivo. Ogni evento storicamente determinante ha sempre comportato mutamenti del linguaggio. Ciò che è avvenuto durante l’epidemia da Covid-19 è una risemantizzazione della realtà declinata secondo i parametri di oscurantismo, superstizione, paura, colpevolizzazione, infantilizzazione, ferocia, ingiustizia (p. 126).
Se attraverso il linguaggio è possibile cogliere della realtà gli aspetti più profondi, nascosti, irrazionali o razionali che siano, Biuso ricorda che anche in questa circostanza il linguaggio è la casa dell’essere, come afferma Heidegger nel Brief über den Humanismus (1947), e che la comprensione profonda dell’evento non può prescindere dalla sua dimensione semantica, dalla potenza che le parole hanno di creare, di dare forma e significato al mondo come di nullificarne le forme.
Il linguaggio oscurantista, però, non ha in sé la forza di nullificare la luce gnostica di cui parla l’autore. Infatti, «l’oscurità è una parola inseparabile dal suo opposto» (p. 127), ragion per cui ogni aspetto problematico non deve mai lasciare il dominio allo scoraggiamento, alla malinconia, alla separazione, alla diffidenza e all’odio (p. 127). Dove vi è oscurità può irrompere la luce che rivela, nel suo dis-velamento, ciò che le tenebre tenevano nascosto, quella luce che è metafisica intesa come presa d’atto, consapevolezza, terapia (p. 129). L’uomo, animal metaphysicum, non dovrebbe mai piegare il proprio intelletto a nessuna forma di riduzionismo: la sua Weltfremdheit (estraneazione mondana), la sua gettatezza nelle tenebre non esclude la luce che in esse è compresa (p. 139). La luce che irrompe dalle tenebre del dramma globale può aiutare Homo sapiens a riconquistare la tragedia, ad accettare la finitudine che è per conferire nuovamente al morire la sua legittimazione biologica, esistenziale e umana. Tutti aspetti che la medicalizzazione della morte ha eroso nel profondo.
L’analisi di Biuso, lungi dall’essere un lamento pessimistico, comprende anche una pars construens che risponde alla domanda: cosa fare? Ripensare l’epidemia vuol dire costruire un pensiero che non sia riduttivo, affrettato, mediatico e neppure antropocentrico, puramente sanitario (pp. 139-140). Si tratta di saper andare oltre la tragica e liberticida contingenza dell’epidemia, vuol dire, ancora, cogliere la follia del presente e saperne tracciare un rimedio, un pharmakos.
La prospettiva dell’autore viene qui definita come pensiero altrimenti, come prospettiva radicalmente diversa rispetto alle narrazioni dominanti o autorizzate, ovvero una critica radicale alla gestione politica dell’emergenza epidemica da Covid-19. Al di là della condivisione o meno dei contenuti, argomentati sempre in modo rigoroso e fondato, il libro ricorda il modo che più di ogni altro può caratterizzare positivamente lo stare dell’uomo nella società, ovvero il modus vivendi che costantemente pratica la sorveglianza critica nei confronti delle autorità, di tutte le sue ramificazioni statali e sociali, ricordando che «l’umanità è caratterizzata da un corpomente nomade, da una identità dislocata nello spazio delle esperienze più diverse e nel tempo delle memorie, dei progetti, delle attese di una vita che non appartiene al singolo come sua proprietà ma all’insieme dei luoghi e dei soggetti naturali e artificiali con i quali vive in simbiosi e che, alla fine, lo costituiscono» (p. 137).
È ormai lapalissiano che vi sono state delle anomalie nella gestione politica dell’epidemia, e ciò che l’intellettuale non può permettersi è un atteggiamento di zelante fiducia nei confronti dell’autorità, di totale fede nei decreti del governo, di giustificazionismo a oltranza di ogni decisione presa per il bene delle persone. Vegliare criticamente su questa deriva è il compito dello studioso degno di questo titolo e di ogni cittadino, in generale. Il dogmatismo che tende a giustificare, legittimare e osannare tutte le azioni politiche messe in atto dal marzo del 2020 fino a oggi, e dunque a non ravvisarne (o denunciarne) in molti casi l’assenza di una ratio, è espressione del più pericoloso e nocivo negazionismo. L’asservimento totale al potere e il pericolo insito nelle varie forme di negazionismo sono due sguardi della stessa ignoranza e povertà ermeneutica.
Biuso delinea e pratica una ribellione selvaggia che vede nella pandemia un luogo (Barbara Stiegler) che mortifica la critica prima di tutto ostacolandola (p. 124) e poi impedendo la libertà costitutiva dell’esserci che si concretizza nell’autonomia, nella consapevolezza e nel respingere ogni tentativo di pressione sociale sotto forma di normativa.
L’autore afferma che la pandemia ha contribuito al tramonto delle garanzie, delle Costituzioni e dell’Habeas corpus. La teologia della colpa (p. 126) ha separato il corpo collettivo, ha sancito la sua dissoluzione; corpo collettivo che ha risposto al comando della separazione con la servitù volontaria (La Boétie), manifestando, in vari modi, il sintomo di iatrogenesi sociale. Lo statuto teologico-politico che caratterizza l’emergenza epidemica da Covid-19 è caratterizzato da un altro dato sociologico imprescindibile: il venir meno della relazionalità nei luoghi e negli spazi della polis. E chi dedica la propria fatica scientifica allo studio del potere, in tutte le sue forme e dimensioni, non potrà negare che il dato appena citato costituisca la dimensione principale che determina la vita all’interno della società: del virus si occupa la biologia, la chimica, la medicina; del modo di gestire le vite umane in relazione al virus si occupa la politica.
Comprendere il proprio tempo nel pensiero vuol dire che la cogenza della realtà che sta di fronte e in cui è immerso colui che pensa ha la potenza di scuotere il pensare al punto tale da interrogare, da fare sorgere delle domande dinnanzi alle quali il filosofo è chiamato a intraprendere l’arduo tentativo di formulare delle risposte sensate, laddove ogni sua considerazione emerga da uno sguardo profondo – phänomenologischer Blick – su quanto accade.
Prima ancora di cogliere la risposta polisemantica che viene data al quesito sulla definizione di vita, è opportuno evidenziare l’esigenza storica che germina da questa domanda, poiché emerge in tutta la sua radicalità il bisogno di corrispondere a quella che Ernesto Grassi definisce la necessità che preme nell’urgere dell’istante, ovvero corrispondere a ciò che il tempo opportuno richiede nell’eventuarsi del suo istante. E l’istante storico della polis, in questo caso, richiede il ritorno a una domanda ancestrale della storia del pensiero; un ritorno, dunque, a domandarsi circa l’elemento che, secondo Biuso, è più esposto al pericolo, nonché già pericolosamente compromesso. Di tutta la complessità e la magnificenza delle strutture della vita, cosa è mutato a causa della temperie sanitaria e politica che va sotto il nome di epidemia da coronavirus?

(4 luglio 2022)

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